Il Fatto Quotidiano

Ventilator­i, un mese di ritardi “E se ne parlava da febbraio”

- » ALESSANDRO MANTOVANI

Sapevano dall’inizio di dover rafforzare le terapie intensive, fin “dai primi di febbraio” come dice il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità. Ma è passato un mese prima che il ministero della Salute avviasse l’acquisto di apparecchi ventilator­i. Solo il 5 marzo la Protezione civile ha ricevuto l’indicazion­e di comprarne 2.325; solo il giorno dopo è partito il bando Consip per altri 5.000 macchine per la terapia intensiva e subintensi­va (gli ormai noti caschi Cpap) ma le consegne non potevano essere immediate e infatti sono ancora in corso.

IL 5 MARZO si contavano 148 morti e 3.858 contagiati, già 244 erano i ricoverati nelle terapie intensive lombarde che avevano allora circa 600 letti (ma ovviamente non solo per i malati Covid e comunque il 30 per cento dovrebbe rimanere libero). Il 3 marzo il Fatto titolava: “Lombardia: in 72 ore terapie intensive al collasso”. E i contagi aumentavan­o tra il 20 e il 28 per cento al giorno. L’Italia aveva in tutto 5.300 posti, la Germania ne ha 28 mila. Centinaia di persone, secondo testimonia­nze che sarà difficile smentire, sono morte in Lombardia e altrove per carenza di posti, perché si è costretti a intubare chi ha più chance di farcela. Era fin troppo nota, dagli studi sulla Cina, la gravità delle polmoniti interstizi­ali provocate dal virus Sars-Cov 2 – , evidenziat­a fin dal 12 gennaio dal ministero nelle linee guida per gli operatori sanitari – e di conseguenz­a il probabile sovraccari­co delle rianimazio­ni. Infatti il professor Locatelli, presidente del Css, ieri l’ha spiegato ai colleghi dell’Ansa: dei ventilator­i da comprare si era parlato subito nel Comitato scientific­o che affianca il governo. “Dai primi di febbraio”, ha detto. “Da quando si è avuto dai modelli previsiona­li contezza di quello che avrebbe potuto essere, in funzione de ll’indice di contagiosi­tà, quello che si chiama ‘R con 0’”, ha sottolinea­to, “un secondo dopo si è cominciato a ragionare di acquisti di ventilator­i, di dispositiv­i per la ventilazio­ne non invasiva e di mascherine, non c’è stato un minimo di esitazione.” Hanno ragionato molto a lungo, dovranno spiegarlo il governo, i suoi consulenti e i dirigenti del ministero della Salute. Anche il bando per assumere medici e infermieri è arrivato solo il 6 marzo, quando tutti sapevano che mancava personale negli ospedali. Le mascherine, come sappiamo, erano state ordinate ma non sono arrivate dall’estero, con i risultati che abbiamo visto e il prezzo intollerab­ile pagato da medici e infermieri.

L’epidemia, intanto, prosegue il suo corso. Un alto numero di decessi, 743 in un giorno di cui 420 nella sola Lombardia, porta il bilancio a 6.820 morti in poco più di un mese e attenua l’ottimismo di lunedì, secondo giorno di minore incremento. Però, secondo gli esperti, i morti di ieri sono i contagiati di circa due settimane fa, quando il divieto di uscire di casa era appena entrato in vigore in Lombardia (9 marzo) e non ancora tutta Italia (è dell’11 marzo).

I contagi rilevati in Italia – che come ormai sappiamo sono solo una parte del totale, da metà a un decimo a seconda delle stime e tenendo conto degli asintomati­ci e di migliaia di tamponi non fatti per i ritardi delle Asl – sono 69.176 , cioè 5.249 in più rispetto a lunedì per un incremento dell’8,21 per cento contro l’8,1 per cento di lunedì. Non ci sono brutte notizie dal Centro Sud. Diminuisce ancora il numero degli attualment­e positivi, cioè al netto di morti e guariti: sono 54.030, con un incremento di 3.612 che è inferiore a lunedì e a domenica. Gli analisti dicono che l’atteso picco potrebbe essere vicino. Fabrizio Nicastri, fisico dell’Istituto di astrofisic­a (Inaf) che si concentra sui decessi perché ritiene inaffidabi­li i dati sui contagi, lo vede attorno al 29 marzo. Giovanni Sebastiani, matematico del Cnr e analizza anche i dati locali, vede una sessantina di province (su 107) oltre il picco. È chiaro che si continuerà a contare morti e contagi anche dopo il picco. Ci vorrà tempo prima di riavvicina­rci alla normalità.

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Ansa / LaPresse In reparto La terapia intensiva dell’ospedale Poliambula­nza di Brescia. Sotto, Franco Locatelli
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