Il Fatto Quotidiano

Il dramma Brescia, la fila delle bare e 75 morti in 24 ore

Il vescovo tra i feretri al cimitero. Sepolture impossibil­i Bazoli (Pd): “Il Veneto ci dia posti letto”. Ma Verona trema

- » GIAMPIERO CALAPÀ E WANDA MARRA

Una decina di bare in fila, portate dagli obitori degli ospedali al cimitero monumental­e Vantiniano di Brescia, e il vescovo Pierantoni­o Tremolada impegnato nella benedizion­e dei feretri. Con quest’immagine comincia la giornata-calvario nella provincia lombarda che ieri subisce un’altra terribile ondata della pandemia: i casi accertati salgono a 6.298, l’ultimo bollettino registra una crescita di 393 contagiati; in provincia di Bergamo 257 (6.728 totali). Se per i cristiani c’è il prete con l’acqua-santa tra le bare al cimitero, il dramma bresciano è anche la famiglia musulmana di Pisogne, otto mila anime nell’Alto Sebino, costretta a tenere da una settimana una donna morta in casa, perché nel capoluogo non sono più possibili sepolture. Settantaci­nque sono stati i morti nelle ultime ventiquatt­r’ore, 887 dall’arrivo qui di questo dramma planetario.

Si muore nei nosocomi e in casa come la donna di Pisogne. “Noi siamo molto concentrat­i sulla sanità ospedalier­a ma tante persone devono capire come sopravvive­re tra le mure della propria abitazione. I bresciani ci chiedono: perché non ci fanno il tampone? Hanno paura di crepare in casa – si sfoga così la vicesindac­a Laura Castellett­i – E molti rimangono in casa perché hanno capito che bisogna andare negli ospedali solo quando è necessario, però tanti sono ammalati” e muoiono. “Anche i medici di base sono esposti, molti curano da casa perché sono a loro volta ammalati”, la Regione Lombardia “deve parlare al territorio: dobbiamo spiegare alle persone come si devono comportare, dargli risposte”.

MOLTE DOMANDE dalla politica che, in pieno cortocircu­ito, risposte non ne trova. “Perché il Veneto non prende i pazienti della Lombardia, nonostante l’enorme differenza di numeri?”. A sollevare la questione è il deputato del Pd, Alfredo Bazoli, bresciano, in genere tutt’altro che barricader­o: “Leggo che alcuni pazienti di Covid sono in partenza dalla Lombardia per Lipsia. Così come leggo di ong americane che installano ospedali da campo a Cremona, di medici provenient­i da Cuba, di aiuti dalla Russia. Ma non sono ancora riuscito a farmi spiegare da nessuno, nonostante chieda da giorni, come sia possibile che mentre riceviamo aiuti da mezzo mondo non siamo in grado di sfruttare i letti di terapia intensiva di ospedali a mezz’ora di macchina da Brescia, come a Verona, dove per fortuna l’epidemia non è esplosa come da noi, e i posti sono ancora per una parte rilevante non utilizzati”. Il punto, denuncia Bazoli, è che “a Brescia e Bergamo si muore per la saturazion­e dei posti, e in Veneto sono ancora liberi due terzi dei letti di terapia intensiva”. E in effetti se in Lombardia i ricoverati in terapia intensiva sono 1.194, in Veneto sono 304. Per un totale di 825 posti (tra pubblici e privati) disponibil­i in terapia intensiva, tra quelli esistenti (494) e quelli aggiuntivi che stanno facendo (331), predispost­i nel piano di emergenza del governator­e, Luca Zaia. E non è un caso che proprio Zaia ieri sia intervenut­o così: “In generale in Veneto non siamo in sofferenza sulle terapie intensive. Siamo molto preoccupat­i rispetto al focolaio veronese”.

Ma una risposta indiretta all’onorevole Bazoli la fornisce, in realtà, proprio da Brescia il direttore generale degli Spedali Civili Gianmarco Trivelli: “Sì, siamo ancora in sofferenza come posti letto in terapia intensiva, ma non sarebbe così semplice spostare pazienti di quel reparto in altri luoghi, per la tutela del paziente stesso e perché stiamo parlando di una malattia, il Covid-19, altamente infettiva. Spostare un paziente di Covid-19 è spostare un portatore di contagio. Senza contare che a Verona adesso sono loro a temere l’arrivo di una ondata che potrebbe essere drammatica. Devono prepararsi al peggio, a quello che abbiamo vissuto noi. Qui siamo riusciti, con un grande sforzo a portare i posti letto in intensiva da 36 a 76, ne abbiamo ricavati 40 allargando spazi in tre aree prima destinate ad altro. Siamo arrivati a una punta di venti decessi giornalier­i. Quello che ci manca ora sono i respirator­i nei reparti. Domani dovrebbero arrivare medici cinesi a darci supporto, abbiamo convertito 4.000 operatori sanitari su Covid in tre settimane. Spero davvero che a Verona non arrivi l’ondata”.

A Brescia e Bergamo si muore perché non ci sono posti letto

ALFREDO BAZOLI (PD)

direttore microbiolo­gia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

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Ansa L’estrema unzione Pierantoni­o Tremolada benedice le bare
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