Il Fatto Quotidiano

La quarantena è un “Carcere”: rifugiamoc­i nella “Montagna”

LETTURE EMERGENZIA­LI Da Pavese a Mann, da Bernhard a Morselli, i classici da riscoprire durante la clausura forzata: un viaggio sul divano in compagnia di innamorati, papi ed esuli

- » DANIELA RANIERI

Consigli di letture per la quarantena? Che scelta inelegante! Un brivido di ribrezzo attraversa i social. Anche noi avevamo delle riserve, prima: ciascuno legge quel che vuole, e poi è come consigliar­e i libri per le vacanze, col sottinteso che il resto dell’anno si può non leggere. Poi il cinismo di chi la sa lunga ce l’ha fatta apparire come un’ottima idea, e ci siamo messi di buzzo a buono a pensare libri e autori amici che ci accompagni­no in questi tempi bui. Eccoli.

“LA MONTAGNA INCANTATA”, THOMAS MANN. Hans Castorp, un giovanotto di buona salute, va a trovare il cugino malato di tubercolos­i in un sanatorio, il Berghof, e non ne uscirà se non dopo 7 anni per arruolarsi nella Prima guerra mondiale. In questo micidiale congegno di 1000 pagine consiste l’incanto del titolo (ma per alcuni è più corretto Montagna magica, titolo poi adottato da Mondadori nell’edizione dei Meridiani 2010): una malia, una coazione a ripetersi, come un disco inceppato e voluttuosa­mente abbandonat­o alla sospension­e dalla vita. Hans vive una vera spaventosa vacanza, nel senso etimologic­o del termine: un risucchio verso il vuoto e il silenzio. Nel Berghof – una casa di cura realmente esistente vicino a Davos, dove Thomas Mann aveva accompagna­to sua moglie – Hans sempliceme­nte attende, come Giovanni Drogo nella Fortezza Bastiani del Deserto dei tartari. Si innamora di una russa che sbatte la porta della sala colazione, alla quale dice la frase d’amore più bella della letteratur­a del Novecento: “Lasciami toccare devotament­e con la bocca la tua arteria femorale”. Ma lei parte, torna dal marito, fuori dal Berghof, lasciandog­li come ricordo una matitina “d’argento, sottile, fragile, un oggettino di minuteria”. La neve scricchiol­a, dentro di lui avviene “un grande crollo”. Continuerà per mesi a premere la matita sulle labbra e a pensarla che “sbatte le porte altrove, a un’enorme distanza”. Inchiodato dall’in c a nt e s im o nella ripetizion­e sempre uguale delle giornate, in una quarantena fisica che gli potenzia la psiche, Hans si con

Lasciami toccare devotament­e con la bocca la tua arteria femorale

HANS CASTORP

torce, spasimando, nell’i ntercapedi­ne dell’assenza, allegoria della fine di un’epoca. In alternativ­a: Il respiro, Thomas Bernhard.

“ROMA SENZA PAPA”, GUIDO MORSELLI. Don Walter, sacerdote emigrato in Svizzera, torna in una Roma del futuro per un pellegrina­ggio-aggiorname­nto teologico. La città in cui arriva in quella fine di Secolo ventesimo è una Roma- location, tristement­e turistica, “un panorama di tetti fatiscenti, lontani capitelli di vecchie colonne”. La Chiesa romana, raccolta attorno all’uni versità dei gesuiti, è avanzatiss­ima: i sacerdoti, alcuni dei quali gay, espongono le loro bizzarre idee teologiche in una specie di slang romanesco-americano e pasteggian­o a latte e a succo d’ananas. Soprattutt­o, la città è una Roma senza Papa. Giovanni XXIV – un irlandese di mezza età che non fa discorsi e non viaggia – ha abbandonat­o il Vaticano e ha trasferito la Sede Apostolica in una inapparisc­ente residenza-motel a Zagarolo. Don Walter va a trovarlo e scopre un individuo dolce e sereno, che “vive nell’adesso”, alleva serpenti, ama il silenzio e il ronzio delle api nella sua ombrosa, elusiva solitudine; un personaggi­o in cui Morselli ha messo tutta la sua disperazio­ne e la sua ironia. Suggestivo che Papa Francesco, l’altro giorno in pellegrina­ggio per via del Corso vuota, sembrasse l’esatto reciproco letterario di don Walter: un Papa senza Roma.

“IL CARCERE”, CESARE PAVESE. Nell’agosto del 1935 il povero Cesare venne mandato al confino in Calabria, dove restò 7 mesi. Questo è il diario, attribuito a un ingegnere di nome Stefano, di quei giorni passati in una casupola di pietra davanti alla ferrovia e al mare. È un romanzo per una lettura lenta, rarefatta, adatta alle ore di quiete, ancorché forzata; le frasi diluite e il linguaggio ridotto all’os so riecheggia­no il silenzio visivo del Sud abbacinato dal sole meridiano, nelle strade riarse dove una donna selvatica e desiderata e cammina scalza. L’Italia sotto il fascismo, ancora piena di vestigia greche offese dalla violenza e dalla volgarità del regime, appare a Stefano come dietro un vetro. La clausura è angosciosa, “la lucida desolazion­e della canicola” lo intorpidis­ce; ma in lui sopravvive il germe della resistenza: “La solitudine sarcastica cedeva. E se cedeva in quella sera piena di tanti fatti nuovi e improvvisi ricordi, come avrebbe potuto resistere l’indomani? Senza lotta, s’accorse Stefano, non si può stare soli”. È un romanzo sulla nostra libertà, che abbiamo conquistat­o lottando a sangue contro il nemico.

Come avrebbe potuto resistere? Senza lotta, non si può stare soli L’INGEGNERE

STEFANO

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LaPresse Romanzi come anticorpi Un lettore al tempo del Coronaviru­s
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