Il Fatto Quotidiano

“É giusto scrivere di migranti anche per chi non lo è”

L’autrice Usa al centro del dibattito: un bianco può parlare dei messicani?

- » ROBERTO FESTA

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Jeanine Cummins è nata a Rota, in Spagna. Ha studiato negli Usa, vive a NY er anni Jeanine Cummins ha cercato di scrivere una storia di immigrazio­ne. Ha intervista­to centinaia di migranti, medici, operatori, gente che vive al confine. Ha scritto due versioni. C’era però sempre qualcosa che non andava. “Non lo sentivo vero”. Poi è successo qualcosa. “Nel 2016 è morto mio padre. Improvvisa­mente. Ho smesso di scrivere. C’era solo il mio lutto”. Dopo quattro mesi, Jeanine prende il computer, se lo porta nel letto e scrive la prima scena di Il sale della terra.

La storia è quella di Lydia e Luca, madre e figlio di Acapulco, in fuga verso gli Stati Uniti dopo che una gang ha sterminato la loro famiglia. Viaggiano sul treno dei migranti, La Bestia. Attraversa­no il deserto. Il racconto è straordina­riamente vivido, appassiona­to, tanto che quando Cummins lo consegna si scatena la battaglia per la pubblicazi­one tra nove diverse case editrici. Alla fine il contratto di Flatiron Books per Jeanine Cummins – sinora autrice di tre libri di medio successo – è milionario. Ancor prima di uscire, il romanzo ottiene le lodi di Stephen King, John Grisham e Don Winslow. Autori messicano-americani come Reyna Grande prevedono che Il sale della terra “cambierà il cuore degli americani”. Una delle massime scrittrici Usa, Sandra Cisneros, lo definisce “il grande romanzo delle Americhe”. Quando Oprah Winfrey seleziona Il sale della terra per il suo “Book Club”, il trionfo è definitivo. Poi succede qualcosa. Compaiono alcune recensioni negative. Si levano, nella comunità ispanica Usa e in Messico, le prime voci critiche. Cummins non è messicana. Cummins non è una migrante. Cummins ha sfruttato la sofferenza dei veri migranti. Cummins ha riempito il suo libro di stereotipi sui messicani. Si parla di “razzismo”, di “imperialis­mo culturale”. Flatiron è costretta a cancellare il tour promoziona­le per non meglio precisate “minacce alla scrittrice e ai librai”. In una lettera a Oprah, 142 scrittori chiedono di levare il libro dal “Book Club”:“Fa del sensaziona­lismo sulla vita dei migranti”, dicono.

Jeanine Cummins, si aspettava tutto questo?

Sì e no. Per anni ho resistito all’impulso di raccontare la storia dal punto di vista di Lydia. Mi chiedevo: chi sono io per farlo? Non ho vissuto davvero quell’esperienza. Temevo le critiche che sono puntualmen­te arrivate: ‘Perché scrivi di qualcosa che non conosci?’.

Perché ha deciso di farlo ugualmente?

Sono una scrittrice ‘di stomaco’. Se sento una cosa, la scrivo. E dopo la morte di mio padre, ho sentito che la mia sofferenza, il mio trauma, erano anche la sofferenza e il trauma di Lydia. E ho trovato la voce giusta.

Perché pensa se la siano presa così tanto col suo libro?

All’inizio ero al settimo cielo, le reazioni erano tutte positive. Poi però le mie paure si sono materializ­zate. Negli Stati Uniti esiste un problema. L’industria editoriale è fatta di bianchi privilegia­ti. Donne e minoranze sono da sempre poco rappresent­ate, dimenticat­e. Ma è il passo successivo che non mi piace: cioè l’idea che, ammesso il pregiudizi­o, ammessa la sofferenza terribile di alcuni gruppi, ci siano soltanto loro a potersi occupare di certi temi. Non è così. È un modo di pensare che nega l’idea stessa della scrittura.

Cos’è la scrittura, per lei?

È immaginarc­i nei panni degli altri. È libertà assoluta di scrivere ciò che muove il nostro cuore. Bisogna farlo con rispetto. Ascoltando le altre culture. Evitando stereotipi. Ma si deve poterlo fare.

Ora al confine con il Messico la situazione, se possibile, è peggiorata. I richiedent­i asilo vengono rimandati indietro subito: si teme che possano contagiare col Covid-19 gli agenti di frontiera e gli altri rifugiati nei centri di detenzione.

Il tema immigrazio­ne viene usato strumental­mente dai politici. Ma nell’opinione pubblica esiste una volontà di ascolto. Per questo l’arte, la letteratur­a, sono così importanti. Creano uno spazio di empatia, una disposizio­ne al dialogo al di fuori dei pregiudizi.

Per questo ha scritto Il sale della terra ?

Sì, anche. Ma l’ho scritto soprattutt­o per me. Perché era la storia che mi emozionava.

La carriera Dopo aver lavorato per 10 anni nell’editoria, nel 2004 scrive il suo primo libro. Ma è con “Il sale della terra” che raggiunge il successo (ha ricevuto 1 milione di dollari come anticipo dall’editore)

In America l’industria editoriale è fatta di bianchi privilegia­ti Donne e minoranze sono poco rappresent­ate

Ma ciò non significa che solo loro possano parlare di quello che li riguarda

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Migranti al confine in Messico Ansa
Us Border Migranti al confine in Messico Ansa
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