Il 31.1 si pensava alla Cina
Conte, Speranza e i capi dei ministeri Era il 31 gennaio e si riunì il comitato operativo per il virus. L’unico patema: il rapporto coi cinesi
Quando tutto ebbe inizio non c’era paura. Forse non abbastanza. Era il 31 gennaio, un venerdì pomeriggio, era già buio quando il corteo di auto, in ritardo, si fermò in forma circolare davanti al palazzone squadrato e vetrato della Protezione civile di via Vitorchiano, periferia di Roma, per una riunione plenaria del comitato operativo contro il Covid-19 presieduto da Giuseppe Conte. “Noi siamo pronti ad affrontare qualsiasi situazione”, disse Roberto Speranza, il ministro della Salute, confortato dal ritmato annuire col capo di decine di funzionari, dirigenti, esperti e scienziati del dicastero ricevuto in dote nella distribuzione di agosto.
Il malefico coronavirus che provoca polmoniti bilaterali era apparso in Italia con la coppia di turisti cinesi, ricoverata allo Spallanzani, e almeno da un paio di settimane circolava dai vicini tedeschi e francesi. Con un’ordinanza Speranza impose il blocco dei voli da e per la Cina, la misura fu offerta ai media così: “Le nostre precauzioni sono le più rigide d’Europa”.
IN VIA VITORCHIANO c’era l’intero ministero per la Salute assiepato tra due file di poltrone nell’immenso bancone rettangolare di legno chiaro, strutture amministrative e politiche assieme, in maniera indistinta, con la vigile presenza dell’Istituto superiore di sanità. Nessuno parlò di capacità ricettiva degli ospedali, di posti in terapia intensiva e neppure di cercare sul mercato internazionale mascherine, respiratori e tamponi, di preparare barellieri, infermieri e medici, di prevedere un aumento d el l ’ organico, di emanare protocolli per i soccorsi urgenti. Nessuno.
La mattina s’era tenuto il Consiglio dei ministri per proclamare lo stato d’emergenza per il coronavirus, rispondere alle “raccomandazioni dell’O r g a n i z za z i o n e mondiale della sanità (in sigla Oms)”, nominare il dottor Angelo Borrelli, capo del dipartimento di Protezione civile, coordinatore (non commissario) dell’azione di prevenzione, stanziare 5 milioni di euro.
Il 28 gennaio l’Oms sentenziò: “Il rischio globale di epidemia è alto. Nel mondo vanno adottate misure adeguate”. Al comando di via Vitorchiano per il varo delle norme, dunque, c’era no Conte, Speranza e Borrelli,
I PRIMI PASSI
Il 30 gennaio l'Italia chiuse i voli da e per la Cina, il 31 ci fu un Cdm per un decreto che deliberava lo stato di emergenza, nel pomeriggio si riunì il comitato operativo alla Protezione civile con Conte, Speranza e altri tecnici dei ministeri dinanzi a loro una spianata di burocrati e tecnici ministeriali: Interni, Esteri, Difesa, Istruzione e Trasporti. Più rappresentanti delle regioni italiane, l’associazione dei comuni italiani, responsabili della Croce rossa, militari in divisa con vistosi nastrini. Il tema più delicato, affrontato per gran parte del tempo dalle 17:00 alle 19:30 e foriero di accorati interventi, fu il rapporto con la Cina, compromesso per gli Esteri, perché il mancato preavviso non aveva fertilizzato il territorio diplomatico; dannoso per i Trasporti, perché i cinesi potevano entrare in altri modi e senza controllo.
ALLA PLATEAfu rammentato che il fondo di cinque milioni serviva a ispezionare gli arrivi in aeroporto con i termometri digitali e poi a pianificare voli di Stato per recuperare gli italiani in Cina. Insomma, non scarseggiava il carburante per ripetuti Roma-Pechino. E fu suggerito, per l’appunto, di censire ricercatori e studenti reclusi nella provincia dello Hubei, il focolaio. Il messaggio fu chiaro e fin troppo replicato in quel periodo da sembrare pleonastico: non creare allarme sociale e panico, il sistema italiano reggerà, siamo preparati. Il comitato operativo, insediato per il rodaggio, fu sciolto con ottimismo. All’uscita aspettavano le telecamere, contornate da fari molto forti, per alcune dichiarazioni da recapitare subito ai telegiornali della sera. Quelle che rassicurano gli italiani.
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