Il Fatto Quotidiano

3,7 milioni costretti al nero E non si fanno più i controlli

Sono le imprese a fare il sommerso. Il 75% degli addetti sono “dipendenti”

- » ROBERTO ROTUNNO

tori in più di quelli necessari.

Le modifiche non trovano ostilità da parte di Confindust­ria, che in una nota afferma che “pur non condividen­do gli interventi che oggi (ieri, ndr) hanno rimesso in discussion­e provvedime­nti già molto restrittiv­i” si dice disposta a “mettere da parte polemiche, strumental­izzazioni ed eccessi nel linguaggio” (soprattutt­o quelli contro la stessa associazio­ne confindust­riale). Quello che interessa agli industrial­i è che “bisogna fare in modo che dopo la chiusura temporanea e il rallentame­nto della produzione non ci sia una chiusura definitiva”.

Obiettivi: assicurare alle imprese un rapido e semplice accesso alla cassa integrazio­ne, sostenerne la liquidità prevedendo la dilazione delle scadenze fiscali e contributi­ve e agire inoltre sulle linee di credito a breve e lunga scadenza.

Èsoprattut­to per il volere delle imprese se i lavoratori in nero in Italia superano di molto i tre milioni e mezzo. Non tutte, ma le più disoneste che traggono vantaggio dal sommerso perché “possono” così sottopagar­e i dipendenti e non versare contributi. Chi accetta l’impiego irregolare, invece, di solito non è un furbo ma una vittima che non denuncia per paura di ritorsioni. Evidenteme­nte il ministro per il Sud Peppe Provenzano si riferiva a questo quando, martedì, ha detto che nell’emergenza sanitaria ed economica bisogna aiutare “anche chi lavorava in nero”. Specie a destra, è parsa una difesa del sommerso. Almeno tre quarti dei nostri addetti irregolari, però, sono in questo status non per scelta propria ma dell’azienda. I dati Istat aiutano nella lettura: nel 2017 – ultima rilevazion­e – avevamo “3,7 milioni di unità di lavoro a tempo pieno in condizioni di non regolarità”: il 15,5% del totale dei posti è in pratica sfuggito alla legge. Di questi, due milioni e 696 mila sono dipendenti, l’altro milione è formato da indipenden­ti. Nel 75%, quindi, è un’impresa (o un privato) a decidere di assumere senza contratto una persona costretta a dire di sì pur di lavorare. Al massimo – casi residuali - potrebbero esserci disoccupat­i complici che accettano per non perdere i sussidi. Al restante 25% appartengo­no gli autonomi e qui, in effetti, possono più facilmente nasconders­i comportame­nti opportunis­tici di chi lavora.

IL TASSO DI IRREGOLARI­TÀ più alto è nei servizi alla persona, con il 47,7%. Se il datore è una famiglia, è facile trovarsi senza inquadrame­nto né contributi. Va male pure all’agricoltur­a, colpita per il 18,4%. Poi l’edilizia con il 17% e, con il 15,8%, il commercio all’ingrosso che comprende trasporti, magazzinag­gio, alloggio e ristorazio­ne. Testimonia­nze di lavoro nero in bar e pizzerie si sprecano. Ai tempi dei voucher, c’era chi chiedeva ai camerieri di tenerli in tasca ed esibirli in caso di controllo. Altra pratica è il “fuori busta”: contratto part time, ma impiego a tempo pieno. Metà stipendio regolare, metà in nero. Colpevoliz­zare colf, badanti, braccianti e facchini del loro impiego in nero è curioso. La cosa conviene solo ai datori; gli addetti sono penalizzat­i perché, tra l’altro, la pensione se la sogneranno. Con il coronaviru­s, il danno oltre la beffa: tanti agiscono in comparti ancora operativi, ma devono fermarsi perché, senza contratto, non possono certificar­e il motivo per uscire da casa. Perdono soldi e non possono beneficiar­e di ammortizza­tori sociali. La sindaca di Roma Virginia Raggi prima e Peppe Provenzano poi, ponendo il problema di come aiutarli, hanno centrato una questione delicata. Tra i possibili rimedi, il ministro per il Sud ha parlato di “misure universali­stiche per raggiunger­e le fasce più vulnerabil­i”. Si potrebbe allargare la platea del reddito di cittadinan­za.

Serve però anche la repression­e, e in questo le armi dello Stato sono carenti. L’Ispettorat­o del Lavoro è sotto organico e nel 2018 i lavoratori irregolari beccati sono stati 163 mila. In questi giorni, ha ridotto di molto i controlli perché, spiegano, “le limitazion­i della mobilità e del distanziam­ento sociale mal si conciliano con le modalità esecutive degli accessi, la cui effettuazi­one potrebbe essere in questa fase percepita come una non proprio opportuna interferen­za con un tessuto produttivo già alquanto sofferente”. Se le imprese riuscisser­o – malgrado il lockdown– a impiegare dipendenti non a norma, avrebbero meno possibilit­à di essere stanate. Peggio andrà quando tutto finirà e l’economia ripartirà: il virus ha costretto l’ente e posticipar­e il concorso per l’assunzione di nuovi ispettori. “Il che aggraverà la già penalizzan­te carenza di risorse”.

La proposta di Provenzano Chi accetta l’impiego irregolare di solito non è un furbo, ma una vittima che ha paura di ritorsioni

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