3,7 milioni costretti al nero E non si fanno più i controlli
Sono le imprese a fare il sommerso. Il 75% degli addetti sono “dipendenti”
tori in più di quelli necessari.
Le modifiche non trovano ostilità da parte di Confindustria, che in una nota afferma che “pur non condividendo gli interventi che oggi (ieri, ndr) hanno rimesso in discussione provvedimenti già molto restrittivi” si dice disposta a “mettere da parte polemiche, strumentalizzazioni ed eccessi nel linguaggio” (soprattutto quelli contro la stessa associazione confindustriale). Quello che interessa agli industriali è che “bisogna fare in modo che dopo la chiusura temporanea e il rallentamento della produzione non ci sia una chiusura definitiva”.
Obiettivi: assicurare alle imprese un rapido e semplice accesso alla cassa integrazione, sostenerne la liquidità prevedendo la dilazione delle scadenze fiscali e contributive e agire inoltre sulle linee di credito a breve e lunga scadenza.
Èsoprattutto per il volere delle imprese se i lavoratori in nero in Italia superano di molto i tre milioni e mezzo. Non tutte, ma le più disoneste che traggono vantaggio dal sommerso perché “possono” così sottopagare i dipendenti e non versare contributi. Chi accetta l’impiego irregolare, invece, di solito non è un furbo ma una vittima che non denuncia per paura di ritorsioni. Evidentemente il ministro per il Sud Peppe Provenzano si riferiva a questo quando, martedì, ha detto che nell’emergenza sanitaria ed economica bisogna aiutare “anche chi lavorava in nero”. Specie a destra, è parsa una difesa del sommerso. Almeno tre quarti dei nostri addetti irregolari, però, sono in questo status non per scelta propria ma dell’azienda. I dati Istat aiutano nella lettura: nel 2017 – ultima rilevazione – avevamo “3,7 milioni di unità di lavoro a tempo pieno in condizioni di non regolarità”: il 15,5% del totale dei posti è in pratica sfuggito alla legge. Di questi, due milioni e 696 mila sono dipendenti, l’altro milione è formato da indipendenti. Nel 75%, quindi, è un’impresa (o un privato) a decidere di assumere senza contratto una persona costretta a dire di sì pur di lavorare. Al massimo – casi residuali - potrebbero esserci disoccupati complici che accettano per non perdere i sussidi. Al restante 25% appartengono gli autonomi e qui, in effetti, possono più facilmente nascondersi comportamenti opportunistici di chi lavora.
IL TASSO DI IRREGOLARITÀ più alto è nei servizi alla persona, con il 47,7%. Se il datore è una famiglia, è facile trovarsi senza inquadramento né contributi. Va male pure all’agricoltura, colpita per il 18,4%. Poi l’edilizia con il 17% e, con il 15,8%, il commercio all’ingrosso che comprende trasporti, magazzinaggio, alloggio e ristorazione. Testimonianze di lavoro nero in bar e pizzerie si sprecano. Ai tempi dei voucher, c’era chi chiedeva ai camerieri di tenerli in tasca ed esibirli in caso di controllo. Altra pratica è il “fuori busta”: contratto part time, ma impiego a tempo pieno. Metà stipendio regolare, metà in nero. Colpevolizzare colf, badanti, braccianti e facchini del loro impiego in nero è curioso. La cosa conviene solo ai datori; gli addetti sono penalizzati perché, tra l’altro, la pensione se la sogneranno. Con il coronavirus, il danno oltre la beffa: tanti agiscono in comparti ancora operativi, ma devono fermarsi perché, senza contratto, non possono certificare il motivo per uscire da casa. Perdono soldi e non possono beneficiare di ammortizzatori sociali. La sindaca di Roma Virginia Raggi prima e Peppe Provenzano poi, ponendo il problema di come aiutarli, hanno centrato una questione delicata. Tra i possibili rimedi, il ministro per il Sud ha parlato di “misure universalistiche per raggiungere le fasce più vulnerabili”. Si potrebbe allargare la platea del reddito di cittadinanza.
Serve però anche la repressione, e in questo le armi dello Stato sono carenti. L’Ispettorato del Lavoro è sotto organico e nel 2018 i lavoratori irregolari beccati sono stati 163 mila. In questi giorni, ha ridotto di molto i controlli perché, spiegano, “le limitazioni della mobilità e del distanziamento sociale mal si conciliano con le modalità esecutive degli accessi, la cui effettuazione potrebbe essere in questa fase percepita come una non proprio opportuna interferenza con un tessuto produttivo già alquanto sofferente”. Se le imprese riuscissero – malgrado il lockdown– a impiegare dipendenti non a norma, avrebbero meno possibilità di essere stanate. Peggio andrà quando tutto finirà e l’economia ripartirà: il virus ha costretto l’ente e posticipare il concorso per l’assunzione di nuovi ispettori. “Il che aggraverà la già penalizzante carenza di risorse”.
La proposta di Provenzano Chi accetta l’impiego irregolare di solito non è un furbo, ma una vittima che ha paura di ritorsioni