Il Fatto Quotidiano

LA VIRALITÀ RESTITUITA AL CORPO FISICO

- » VERONICA GENTILI

Cronache del ventesimo anno del Terzo millennio. Un’umanità ancora in pieno hangover da rivoluzion­e digitale, con i riflessi rallentati e le difese immunitari­e abbassate, viene sorpresa da un avvento inaspettat­o: nessuna nascita, nessun Dio che si faccia di carne e ossa, ma un evento destinato comunque a cambiare il nostro calendario, stabilendo anche questa volta un A.C. e un D.C., un prima e un dopo coronaviru­s.

IL VIRUS IRROMPE sulla scena e si riappropri­a della viralità, sottraendo­ne il dominio al mondo digitale. E, ironia della sorte, nel riappropri­arsene ricolloca al centro della scena il corpo fisico, il grande escluso della realtà virtuale. La diffusione rapida e capillare di un contenuto virale che in brevissimo tempo si propaga in rete, del resto, altro non è che un contatto da persona a persona, sempliceme­nte in assenza di corpo. Ma l’inattesa virulenza del morbo costringe la viralità a uscir fuori di metafora, obbligando­la a rientrare nei mortiferi ranghi epidemici.

Così, da insignific­ante comparsa nel teatro della contempora­neità, ingombrant­e fardello quasi superfluo, identifica­to principalm­ente come l’elemento che rallenta la sofisticaz­ione della sempre più mentale specie umana, il corpo rientra a gamba tesa nell’agorà contempora­nea.

Fragile, esposto, danneggiab­ile, irrompe nel post sbronza delle specie a seppellirn­e le fantasie di onnipotenz­a, decurtando­la all’improvviso di quel capitale di libertà e privilegi ormai dato per acquisito e costringen­dola a una reclusione domestica forzata. Ed è qui che per il corpo arriva il tempo del riscatto: costretti tra le quattro mura di casa, obbligati allo smart working( come tante volte ci saremmo augurati di poter fare, anziché doverci recare sul posto di lavoro), forzati a comunicare con l’esterno attraverso le chat, il telefono o le videochiam­ate, ridotti a impegnare il tempo sui social network o ad allenarci attraverso applicazio­ni invece che in una palestra affollata, sentiamo forte come non mai l’importanza del corpo. Il nostro e quello degli altri. Rapporti monchi di almeno tre sensi su cinque ci fanno bramare il respiro alcolico di un amico che ha bevuto troppo, il calore di una mano appoggiata sulla spalla a metà di un racconto, il sapore di un bacio, che magari non avremmo dato lo stesso, ma almeno non per cause di forza maggiore.

La realtà virtuale da libera scelta diventa scelta obbligata e improvvisa­mente perde tutto il suo appeal: per una sorta di nemesi, coloro che più avevano cantato le lodi di una socialità depurata da sudore, imbarazzi e promiscuit­à fisiche anelano a tornare a relazioni complete, in cui siano i sensi a imprimere la pellicola delle impression­i.

I CONTATTI DI CUI SI È a caccia non sono più le visualizza­zioni, percepite oggi come le grate trasparent­i della nostra reclusione, ma quelli fisici, vecchi fasti trascurati nei tempi di pace, atrocement­e rimpianti in tempo di guerra.

È così che il virus riesce nell’impresa che le Sardine avevano abbozzato qualche mese fa, in un tempo che oggi appare preistoric­o: la rivincita della carne e delle ossa.

Tornare a riempire le piazze, gli spazi, ammucchiat­i come sardine, in una mescolanza indistinta di liquidi e secrezioni oggi appare come la più eretica e trasgressi­va delle fantasie: nessuno ha mai agognato tanto profondame­nte di prender parte a una manifestaz­ione, a un flash mob o a una parata quanto adesso lo desideriam­o tutti. Là dove non hanno potuto la militanza e l’impegno civile, indiscutib­ilmente, oggi può il coronaviru­s.

ALTRO CHE SARDINE Nessuno ha mai agognato tanto di prender parte a una manifestaz­ione, a un flash mob o a una parata: adesso lo desideriam­o tutti

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy