La voce in bianco e nero: auguri Mina, ora dicci se sei felice
Niente mi toglie dalla testa che la sparizione di Mina dalle scene – correva l’anno 1978 – sia legata all’arrivo della televisione a colori in Italia. Mina nasce nel bianco e nero: i maxi toupet, i mini tubini, la sensualità convessa come il monoscopio, il sorriso irradiante degli anni Sessanta, l’energia del boom. Poi ancora il bianco e nero la trasforma in icona attraverso Studio Uno e Milleluci, i varietà optical di Antonello Falqui. Negli omaggi trasmessi per festeggiare i suoi ottant’anni (uno per tutti: il documentario In arte Minadi Pino Strabioli, Rai3, maliziosa alternanza di schegge in bianco e nero e commenti a colori) abbiamo rivisto l’inseparabilità di Mina da quel mondo: i duetti irresistibili con Walter Chiari, Alberto Sordi, Giorgio Gaber, Lelio Luttazzi, senza dimenticare Alberto Lupo, il sex-symbol più tenebroso di quegli anni in smoking.
Nessun dubbio: c’è un’Italia a colori e c’è un’Italia in bianco e nero, separate da un breve ma insondabile abisso che Mina, mossa da un istinto misterioso, non ha voluto attraversare. Come nel caso di Lucio Battisti, la carne si è fatta voce, come se il segreto per uscire dal tempo fosse lo stesso del coniglio nel cilindro. Sparire. “Non so se sono felice” dice Mina a Mario Soldati, dopo avergli confessato di leggere solo Pap er in o. “Magari glielo dirò a ottant’anni”. La ricorrenza è arrivata, ma la risposta ormai suona superflua. Buon compleanno, Mina. Augurarglielo è un dovere, ma la sensazione è che sia inutile.