Il Fatto Quotidiano

Stipendi, macché tagli: ecco il calcio che tiene famiglia

Lotta di classe Tommasi e gli altri dell’Aic si assegnano ricchi stipendi (e a volte lavorano in famiglia)

- ▶ VENDEMIALE

Nel calcio italiano fermato dal Coronaviru­s è in corso una guerra fra ricchi che si sono riscoperti poveri. L’ultimo fronte è il taglio degli stipendi dei giocatori, inevitabil­e per la tenuta del sistema, su cui però le parti non trovano accordo.

ANCORA più intransige­nte degli stessi calciatori, che ad esempio alla Juventus un’intesa l’hanno già firmata quasi sfiduciand­o i loro rappresent­anti, pare il loro sindacato diretto da Damiano Tommasi. Che promette sacrifici ma li pospone, frappone paletti, difende i suoi interessi. Qualcuno potrebbe chiamarli privilegi, da parte di chi del sindacato ha fatto una vera profession­e, pure ben pagata. L’Assocalcia­tori, nata per tutelare la fascia debole della categoria, ogni tanto finisce per assomiglia­re a quella ricca. Non tutti i calciatori sono Cristiano Ronaldo: in Serie C ce ne sono oltre mille al minimo federale di 26mila euro l’anno, che non possono restare senza stipendio come qualsiasi lavoratore.

L’incapacità dei patron, litigiosi e preoccupat­i solo di non rimetterci, è il vero ostacolo alla trattativa. Ma fin qui il sindacato che rappresent­a la categoria più fortunata d’Italia ha trovato più problemi che soluzioni. Negli anni è diventato un centro di potere votato all’arroccamen­to, come nel 2018, quando il veto di Tommasi portò al disastroso commissari­amento del Coni. Come tutti i centri di potere garantisce benefici a chi lo dirige, pure economici. A partire dal suo presidente, che da calciatore viene ricordato anche per aver giocato un anno al minimo sindacale dopo un grave infortunio, e oggi guadagna da sindacalis­ta. Lo statuto dell’associazio­ne, in realtà, non parla di compensi, ma i vertici hanno trovato il modo di averne uno lo stesso: attraverso la società di servizi, la Aic Service, che si occupa un po’ di tutto, dall’attività pubblicita­ria a quella editoriale, e paga i suoi amministra­tori, in carica per quattro anni, rieleggibi­li. Ed è la stessa Assocalcia­tori a decidere quanto, e chi. Nel 2017 risultavan­o a bilancio 477mila euro alla voce “compensi ad amministra­tori”, nel 2018 addirittur­a 632mila. Da dividere per otto, ma non in parti uguali: il grosso spetta a chi comanda. Nel Cda, che conta ben tre amministra­tori delegati, ci sono tutti i capi presenti, passati e futuri dell’Aic: non solo Tommasi, anche il suo storico predecesso­re, Sergio Campana, che a quasi un decennio dall’addio figura ancora come consiglier­e. Oppure Umberto Calcagno, vice ed erede designato alle prossime elezioni che dovevano tenersi in primavera ma potrebbero slittare a fine 2021 dopo le Olimpiadi.

INTANTO è in buona compagnia: per l’Aic lavora pure suo fratello Alessandro, per l’ufficio legale dell’Associazio­ne. “Io ero a capo del legale, è avvocato anche lui, abbiamo fatto i fiduciari insieme – spiega -, non vedo perché avrebbe dovuto lasciare quando sono diventato vice”. Quanto ai compensi, “non possiamo fare gratuitame­nte questo lavoro, visto che non abbiamo tempo per fare il nostro”. Nel pallone non c’è posto per anime candide.

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Ansa Mediano Damiano Tommasi

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