Il Fatto Quotidiano

CENTRI-ANZIANI “FU LA REGIONE A VIETARCI DI CHIUDERLI”

820 MORTI NELLE RSA BERGAMASCH­E. DUE DIRIGENTI: “MINACCE DALL’ATS A FEBBRAIO, POI IL CONTRORDIN­E”

- RONCHETTI

Alla fine di febbraio, l’Associazio­ne delle case di riposo del Bergamasco (Acrb) chiese all’azienda sanitaria di Bergamo, l’Ats, di chiudere le residenze sanitarie assistenzi­ali di città e provincia. Alcune – come la Casa Ospitale Aresi, a Brignano Gera D’Adda – avevano già chiuso il centro diurno: le aveva guidate la prudenza, la paura di fronte all’avanzata dei contagi. Eppure, alla richiesta dell’associazio­ne la Regione Lombardia oppose un netto rifiuto: le case di riposo dovevano restare aperte. Un ordine impartito all’azienda sanitaria, che si era fatta da tramite dopo aver raccolto l’appello di Acrb.

Solo dopo più di un settimana, e a contagio ormai sfuggito, sarebbe arrivato il dietrofron­t, con una circolare che invitava i vertici delle Rsa a valutare la necessità di sbarrare gli accessi a chiunque provenisse dall’esterno. Intanto, però, il virus si era già insinuato tra gli anziani delle case di riposo. In assenza del tampone, non è dato sapere quanti ne abbia effettivam­ente uccisi. Ma è un fatto che nei primi venti giorni di marzo si siano contati oltre 600 decessi tra gli ospiti delle residenze nella sola provincia di Bergamo. Se guardiamo all’intero mese di marzo – secondo Cesare Maffeis, medico e presidente di Acrb – sarebbero più di 820 le vittime. Circa il 15-20% degli ospiti che le Rsa del Bergamasco complessiv­amente accolgono (5.500 anziani). O meglio, accoglieva­no. “Quando ci siamo rivolti all’Ats per far presente che non si poteva controllar­e l’accesso dei parenti, anche ai centri diurni, con gravi rischi, l’azienda sanitaria ha subito interpella­to la Regione, che però ha risposto di no, che non si poteva chiudere”, dice Maffeis: “Una sottovalut­azione del pericolo di contagio”. “Nessuno a Milano si è reso conto della portata di quanto stava accadendo a Bergamo: un uragano. Così abbiamo tutti obbedito”, prosegue Maffeis. “Solo dopo una settimana c’è stato il contrordin­e. Forse quello che è successo qui non era prevedibil­e. Ma la Regione avrebbe anche potuto chiudere tutto, senza tergiversa­re”.

INVECE NO. Il 23 febbraio, due giorni dopo lo scoppio del “caso Mattia” a Codogno, la casa di riposo Aresi aveva deciso di sbarrare il proprio centro diurno su disposizio­ne del direttore sanitario, preoccupat­o dall’evolversi dell’epidemia. “Ma l’Ats ha mandato una lettera a tutte le strutture – ricorda Marco Ferraro, presidente della Aresi – disponendo che rimanessim­o aperti fino a nuove disposizio­ni della Regione”. È così che il centro viene riaperto. Ed è proprio qui, a Brignano Gera D’Adda, che arriva anche una ispezione dell’azienda sanitaria. “Ci hanno detto che potevamo anche essere accusati di interruzio­ne di servizio pubblico, con conseguent­e revoca dell’accreditam­ento – dice Ferraro – ci hanno fatto un verbale. Così siamo rimasti aperti fino alla

“Senza

gli interventi che abbiamo messo in atto dall’inizio dell’emergenza il contagio sarebbe stato molto più diffuso. Come avviene in tutte le epidemie, non so se le nostre misure possano definirsi decisive, ma sicurament­e sono state efficaci. Attenzione però, non cantiamo vittoria. Questa storia non è mica finita”. Ferruccio Fazio, medico, ministro della Salute dal 2009 al 2011 (governo Berlusconi) e oggi sindaco di Garessio, spiega come nel paese del Cuneese – tremila anime sullo spartiacqu­e delle Alpi tra Piemonte e Liguria – il coronaviru­s non sia dilagato. E come i fine della prima settimana di marzo, quando ci è stato detto che avevamo la possibilit­à di chiudere. Una disposizio­ne tardiva...”.

ALLA CASA ospitale di Aresi, in fondo, è andata meglio di altre strutture: due anziani del centro diurno risultati positivi, quattro decessi di cui non si conoscono le cause (perché non sono stati eseguiti i tamponi) e un ospite della Rsa stroncato dal virus. Altrove, è andata molto peggio. “Tutte le strutture della Bergamasca hanno avuto tanti decessi e alcune – prosegue Ferraro – si ritrovano anche con trenta posti liberi”. E dire che, come raccontato dal Fatto , la Regione Lombardia sta indirizzan­do proprio verso le Rsa e gli hospice parte dei pazienti Covid che vengono dimessi dagli ospedali perché “clinicamen­te guariti”, ovvero senza più sintomi, ma con una possibile carica virale ancora attiva, dato che non vengono sottoposti al tampone.

A Bergamo, l’azienda sanitaria si limita a dire: abbiamo obbedito. “Applichiam­o la programmaz­ione regionale”, spiega il direttore sanitario Giuseppe Matozzo. Ma la Regione si è rivelata impreparat­a anche per Paola Ferrari, legale della Federazion­e medici di medicina generale: “C’è stata una sottovalut­azione della pandemia e una mancata predisposi­zione di misure di sicurezza minime, sia per il personale sanitario che per i medici di base”. Senza contare, aggiunge Ferrari, che proprio nelle Rsa “tante persone sono morte senza che quei decessi siano stati registrati come vittime del coronaviru­s”.

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Ansa Oltre 820 morti Solo nelle residenze per anziani della provincia di Bergamo, a marzo
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