Il Fatto Quotidiano

Truffiamo i cinesi...

Per immettersi nel mercato europeo, molte aziende chiedono l’ok di enti che però consegnano documenti poco trasparent­i

- DELLA SALA E PACELLI

Anche se con il decreto Cura Italia del 17 marzo ogni azienda può auto-certificar­e di essere in linea con i requisiti richiesti dall’Ue, c’è un mercato che il coronaviru­s non ha mandato in crisi. É quello degli enti che quelle certificaz­ioni le hanno emesse nelle settimane scorse e continuano a emetterle: analizzano i documenti delle aziende che si vogliono immettere sul mercato per vendere mascherine e dispositiv­i medici e danno il proprio ok. Si tratta di enti riconosciu­ti dal governo che, come raccontato al Fatto da diversi imprendito­ri, ora si propongono alle aziende estere ignare della possibilit­à che basti solo quella che viene definita “dichiarazi­one di conformità europea” per poter far arrivare i dispositiv­i in Italia (poi sottoposti al controllo dell’Istituto superiore di sanità o dell’Inail).

A. C. È UN CONSULENTE di un gruppo di imprese italiane che da anni lavora con il mercato asiatico nel settore dei dispositiv­i di protezione individual­e. Spiega al Fatto che negli ultimi tempi in Cina c’è stato un boom di questo tipo di certificaz­ioni. I cinesi sono convinti che quel foglio di carta basti a certificar­e il possesso di requisiti in linea con quelli richiesti dall’Europa, ovvero la certificaz­ione CE. “Il fenomeno che si sta verificand­o riguarda molte aziende cinesi – racconta A. C. – che finora hanno prodotto solo per il fabbisogno interno. A Pechino, l’emergenza coronaviru­s è per il momento sotto controllo e quindi queste società si sono affacciate al mercato estero, in particolar­e a quello italiano che necessita di mascherine e dispositiv­i di protezione”. Si sono così affidati ad alcuni enti, incluso uno emiliano, che hanno fornito certificaz­ioni che, secondo il consulente, “sono ingannevol­i”. “Nei documenti che ci sono arrivati - spiega ancora A. C. - si legge che l’ente ha ricevuto e analizzato la documentaz­ione dell’azienda e in base a quei documenti ha quindi dato il proprio via libera”. Si dice, insomma, che quell’azienda può avere una certificaz­ione “ma, attenzione, - precisa il consulente - non europea, bensì dell’ente stesso. Nella dicitura del documento viene infatti specificat­o che deve essere responsabi­lità della società stessa procurarsi la certificaz­ione europea”. In sostanza siamo di fronte a una mera consulenza. “Il punto è che in Cina c’è ormai un mercato di certificat­i: c’è una società a Shenzhen che promuove gli enti italiani e il rilascio di certificat­i per 500 o più dollari. Le aziende cinesi così vengono ingannate: quelle documentaz­ioni sono inutili”.

A. C. non è l’unico profession­ista che si è ritrovato a lavorare con società che gli presentava­no certificat­i inutili. Il fenomeno viene confermato al Fatto da altre fonti. “Le aziende cinesi – spiega un intermedia­rio – al di là di una sparuta minoranza, non avevano un mercato europeo. Lo scoppio dell’epidemia ha fatto sì che si rivolgesse­ro in fretta e furia, coscienti o meno, ad asseriti enti certificat­ori che sistematic­amente, nel momento in cui fanno controlli, non risultano essere abilitati a rilasciare quel tipo di certificaz­ione, pur essendo magari riconosciu­ti come enti certificat­ori dal ministero”.

IN SOSTANZA, capita ad esempio che gli enti certifichi­no come medici dispositiv­i che invece possono essere destinati alla protezione individual­e civile o il contrario. “Oppure – spiega un altro intermedia­rio – veng ono spacciate come certificaz­ioni CE documenti che invece hanno solo un valore ‘consultivo’ o che non servirebbe­ro neanche più dal momento che c’è il Cura Italia”, che prevede l’autocertif­icazione. Entrambi ci confermano che in alcuni casi il costo di queste certificaz­ioni può arrivare anche a 25mila euro. I controlli, ad ogni modo, sembrano esserci. Invitalia è in contatto con gli enti certificat­ori autorizzat­i, che poi verificano se le certificaz­ioni inoltrate siano veritiere e se le dichiarazi­oni corrispond­ano al prodotto indicato sui documenti e alla corrispett­iva azienda. Le verifiche sono lunghe e complesse e, nel frattempo, c’è chi ci guadagna.

C’è una società a Shenzhen che promuove gli enti italiani e il rilascio di certificat­i per 500 o più dollari

Sono imprese non abilitate a rilasciare quel tipo di certificaz­ione, pur essendo riconosciu­te dal ministero

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