Guarigione e salvezza: obiettivi da raggiungere con la non violenza
Ieri era l’anniversario dell’assassinio di Martin Luther King (4 aprile 1968), vigilia quest’anno della Domenica delle Palme. King, pastore evangelico battista e leader del movimento nonviolento per i diritti civili degli afroamericani, è stato anche leader della protesta contro la guerra del Vietnam e gli interessi del sistema politico-economico legato all’industria bellica. Premio Nobel per la Pace nel 1964, con le sue marce non violente e la sua predicazione sulla “forza di amare” egli voleva sconfiggere il razzismo che covava nel cuore degli uomini, e quindi della società, e anche la volontà di sopraffazione della violenza militare ed economica.
COSÌ IL PASTORE valdese Tullio Vinay: a pochi anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, facendo apporre sul muro della chiesa all’aperto del Centro ecumenico di Agape (a Prali, in provincia di Torino) il versetto di I Corinzi 13 “l’amore non verrà mai meno”, indicava la forza più potente e definitiva per la conversione dell’animo umano, che bisognava praticare e non solo predicare. Durante il fascismo si era impegnato personalmente nella rischiosa protezione degli ebrei perseguitati e poi, come Martin
Luther King, contro la guerra nel Vietnam. Proprio una sua visita in quel paese in guerra lo portò a fondare a Parigi, con altri, l’associazione dei cristiani per l’abolizione della tortura.
Erano entrambi discepoli di quel Gesù che, in un momento di effimero entusiasmo popolare – come ci raccontano i vangeli in questa Domenica delle Palme – entra in Gerusalemme non da re conquistatore ma da “poverello”, a cavallo di un asinello: “la gran folla che era venuta alla festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme, uscì a incontrarlo, e gridava: ‘Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!’. Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: ‘Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, montato sopra un puledro d’asina!’” (Giovanni 12,12-15). Gesù si presenta perciò come Colui che le Scritture avevano annunciato, come re mansueto e non guerriero, come predicatore nonviolento, araldo di quell’amore sovrabbondante della grazia di Dio, capace anche di perdersi e morire, pur di dare frutto e nuova vita: “‘ L’ora è venuta, che il Figlio dell’uomo dev’essere glorificato. In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna” (Giovanni 12,23-25).
Quella della Domenica delle Palme è quindi una giornata di gioia ma velata da ciò che avverrà da lì a pochi giorni (il tradimento, la condanna a morte e la crocifissione del Venerdì Santo), fino a tornare a risplendere nella risurrezione della Domenica di Pasqua. I racconti della Settimana Santa, perciò, illustrano in sintesi la vittoria del bene sul male come frutto di una lotta immane in cui anche Dio è impegnato direttamente, con i suoi strumenti però, non con quelli tipicamente umani della forza e della violenza ma con quelli dell’amore e della convinzione che producono – questi sì – guarigione e salvezza.
OGGI I CRISTIANI in Italia non potranno raccogliersi nelle chiese per partecipare ai culti, non riceveranno i tradizionali ramoscelli di ulivi, segno del discepolato di pace e riconciliazione a cui sono chiamati dal loro re nonviolento. La loro gioia sarà velata non solo per l’attesa del Venerdì Santo ma anche per l’impossibilità quest’anno di condividere comunitariamente quell’annuncio di fede, di speranza e di agire responsabile che è alla base dei racconti evangelici della Passione. Ma pazienza, ciò che conta è che il messaggio evangelico e la conseguente testimonianza siano occasione di ripensamento e di scelte di vita nuova.
Oggi i cristiani non possono scambiarsi il ramoscello d’ulivo, ma ciò che conta è il messaggio evangelico (e i buoni esempi del passato)