Quarantena, la polizia spara in aria per farla rispettare
Testimonianza Il racconto del docente italiano a Lima: “Uomini e donne escono a giorni alterni, ma non nelle favelas. Se il contagio aumenta, Roma ci aiuti”
Il coronavirus non ha risparmiato l’America Latina. Dalla prima settimana di marzo a ieri si contano 25 mila casi, dagli 8 mila del Brasile ai 5 mila del Nicaragua. In mezzo c’è il Perù con i suoi 1500 contagi e una sessantina di morti, impaurito, per ora, più dall’incoscienza dei Paesi confinanti che dall’epidemia a uno stadio non allarmante. Questo anche grazie alla tempestività del governo di Marin Vizcarra, che dal 16 marzo ha decretato dapprima il coprifuoco notturno – dalle 16 alle 5 del mattino dopo – e poi un meccanismo di alternanza di genere per le uscite diurne. Uomini e donne in quarantena possono uscire solo a giorni alterni e per motivi di necessità fino al 12 aprile. Tutti in casa, invece, di domenica.
Si tratta di una misura già adottata a Panama non senza polemiche, che Lima ha copiato sperando di appiattire l’impennata di contagi. “Non è facile per il Perù affrontare una situazione del genere. Non tutto il Paese è la capitale: ci sono lande al confine con l’Ecuador dove l’emergenza è già partita e in cui c’è grande timore per ciò che potrebbe accadere se il virus superasse la frontiera”, spiega al Fatto Riccardo Farina, professore di Italiano a Lima. “Ma anche in una metropoli di 10 milioni di abitanti non è facile far rispettare la quarantena: a parte quei 4 distretti più vivibili, per il resto le persone hanno per la maggior parte lavori in nero, non possono restare in casa”. Per non parlare dei Cerros (le favelas peruviane). “La quarantena è una misura difficile da attuare in una situazione così diseguale. L’altro giorno – racconta il professore Farina – la polizia ha sparato in aria a La Libertad per far rientrare in casa i cittadini che si rifiutavano di farlo”. E poi c’è la preoccupazione per il servizio sanitario. Anche chi, come lui, che insegna nel prestigioso collegio Antonio Raimondi e per contratto ha un’assicurazione privata, sa che questa non copre le spese sanitarie in caso di epidemie o pandemie. Per gli altri cittadini ci sono gli ospedali pubblici, meglio, “ospedali militari”, il cui solo nome “non è molto rassicurante”.
Per gli italiani in Perù dunque la situazione potrebbe farsi difficile. “Ho scritto all’ambasciata italiana – ci dice il prof. Farina – perché la preoccupazione è che qui arrivi il picco quando in Italia la situazione migliora. Come faremmo in quel caso a tornare con le frontiere chiuse?”. L’ambasciata oltre a chiedere l’iscrizione all’Aire (l’elenco dei cittadini italiani residenti nel Paese) non ha per ora for