Banche chiuse poi riaperte: code chilometriche al freddo
aver commesso gli stessi errori dell’Italia (blocco solo dei voli diretti non controllando i passeggeri in transito) l’Argentina, pur con numeri limitati (1353 contagi e 42 decessi) aveva preso decisioni drastiche come la chiusura dello spazio aereo e la quarantena totale. Ma ha commesso l’errore di chiudere le banche senza calcolare che pensionati e titolari dei sussidi di povertà potevano incassare i soldi solo agli sportelli: rischiando la protesta sociale, il governo ha aperto gli istituti venerdì, col risultato di milioni di anziani e indigenti in coda fin dalla fredda notte precedente, con assembramenti di chilometri senza alcuna regola. In Ecuador il numero dei contagiati è di 3368 casi con “solo” 145 morti (statistiche falsate perché i decessi segnalati corrispondono solo a quelli negli ospedali oltre i limiti di capienza). La città costiera di Guayaquil è divenuta famosa per i cadaveri davanti alle porte delle case o per strada. La capitale “morale” ed economica è nota per l’emigrazione verso Spagna e Italia da dove, senza severi controlli negli aeroporti, il virus ha potuto diffondersi.
pubblicato sulla rivista americana Foreign Policy con Margaret Bourdeaux, direttrice del programma di sicurezza e salute della Harvard Kennedy School, Bruce Schneier ha messo in guardia contro questo rischio fin dalla fine di febbraio.
“DA MOLTO TEMPO governi e agenzie di intelligence hanno un interesse a manipolare l’informazione sanitaria, sia quella delle loro stesse popolazioni che di popolazioni straniere”, spiegano. I due esperti citano la disinformazione russa su Aids, vaccini e coronavirus, ma sottolineano che il problema più serio non è questo, quanto invece le gravi vulnerabilità delle strutture mediche che affliggono una superpotenza come gli Stati Uniti, figuriamoci paesi meno ricchi e tecnologicamente avanzati, come potrebbe essere il nostro. Schneier e Bourdeaux, infatti, denunciano che è scioccante quanto sia facile hackerare le strutture sanitarie.
L’anno scorso, i ricercatori israeliani dell’Università Ben Gurion hanno condotto un’esercitazione di cybersicurezza per dimostrare quanto fosse semplice entrare nei sistemi informatici di un ospedale attraverso una wifi pubblica.
Poiché l’ospedale non proteggeva esami e dati medici con la crittografia, i ricercatori israeliani sono riusciti ad accedere alle Tac e a modificare le immagini inserendo dei falsi tumori: solo nel 60 per cento dei casi i medici riuscivano a scoprire la manipolazione e a distinguere le Tac vere da quelle falsificate.
MA NEL CASO del coronavirus, in che modo spie e cybercriminali potrebbero sabotare la lotta? Schneier e Bourdeaux spiegano che test e terapie contro il virus vengono eseguiti e somministrate a livello locale e regionale da una moltitudine di laboratori e centri sanitari che poi trasmettono i dati all’agenzia del governo federale Center for Disease Control and Prevention (CDC), attraverso programmi informatici che hanno mille vulnerabilità. Queste vulnerabilità possono essere sfruttate per hackerare e alterare l’intero database sul coronavirus del CDC.
“In tempi normali, c’è tutto il tempo per le autorità sanitarie di notare anomalie nei dati e per ricostruire quali informazioni sono state falsificate”, scrivono i due esperti, “ma durante un’epidemia, quando ci sono decine di migliaia di casi da registrare e analizzare, sarebbe facile per medici e autorità sanitarie, stremate dalla fatica, essere ingannati dai dati falsi. Il caos che ne risulterebbe potrebbe portare ad assegnare in modo sbagliato le risorse per combattere l’epidemia, dare false rassicurazioni che i casi stanno calando quando invece non è così, o anche sprecare tempo prezioso nel cercare di verificare dati in conflitto tra loro”.
SCHNEIER E BOURDEAUX avvertono che le autorità sanitarie americane e di tutto il mondo non devono perdere tempo nel mettere in sicurezza i loro sistemi sanitari dal punto di vista digitale e gli Usa, in particolare, devono passare dalla cybersicurezza per scopi offensivi a quella a scopo difensivo per proteggere infrastrutture vitali come quelle mediche.
“La scelta di molti governi, incluso quello degli Stati Uniti, di mantenere le strutture Internet vulnerabili, in modo che possano spiare facilmente su tutti, non è più sostenibile”, concludono i due esperti.