“Così, per ben 3 volte, ho provato a vendere mascherine all’Italia”
Le offrì (invano) a Protezione civile e Invitalia
Antonio Manca Graziadei è un avvocato e ha, tra i suoi clienti, una multinazionale brasiliana quotata alla borsa di Johannesburg. “Per dieci giorni - spiega - ho trattato con la Protezione Civile e Invitalia per un milione e mezzo di mascherine a settimana dal Sudafrica, poi dalla Cina. Ho fatto tre offerte, cambiato prezzi e condizioni. Finché è stato lasciato cadere tutto". Avvocato, quando si è messo in contatto con la Protezione Civile?
Il 17 marzo ho inviato la prima offerta da 1 milione di mascherine FFP2 a settimana dal Sudafrica: 4,2 dollari al pezzo, consegna a Fiumicino immediata e pagamento anticipato al 50% e 50% alla consegna.
Ha avuto risposta?
Dopo un sollecito e l’invio di altre informazioni ho ricevuto una mail. Intavoliamo una trattativa.
La Protezione civile ci dice che la proposta era esosa. Per questo propongo un nuovo prezzo: 3,5 dollari e stesse condizioni. Aumento la fornitura a 1,5 milioni di FFP2 a settimana e per il pagamento propongo un acconto del 40% su un ‘escrow account’ di un notaio nominato da loro con l’arrivo a Fiumicino entro i due giorni successivi.
Ma la Pa non può anticipare soldi...
Sì, il 21 marzo me lo spiegano e decidiamo per il pagamento del 100% alla consegna con bonifico istantaneo e dopo i controlli da parte loro.
E poi che succede?
Alle 18:05 mi telefona un funzionario e mi dice: “Mi dispiace ma non possiamo finalizzare l’ordine perché è in corso una ‘riprocedimentalizzazione interna’”. Una parola che non dimenticherò mai. Aggiunge: “Ci dobbiamo risentire lunedì (23 marzo, nda), poi le faremo sapere a chi rivolgersi”. Intanto cerco di avere un contatto. Mi dicono che il nuovo soggetto per ‘proseguire’ la trattativa è Invitalia e che devo inviare una mail con l’indicazione: “Con dizi oni negoziabili”. La invio il 23 marzo di mattina, poi sollecito alle 13. Mi rispondono che l’offerta “è in fase di valutazione”. Poi mi chiamano per dirmi che la stanno esaminando. A voce mi chiedono altra documentazione, inclusi certificati di qualità e sicurezza delle mascherine. Invio e aspetto. Il giorno dopo, il 24 marzo, sollecito una risposta e li avviso che ogni ulteriore ritardo renderà impossibile mantenere l’offerta in standby e la consegna della merce entro fine settimana. Niente. Altro sollecito, sono passati sei giorni dalla prima offerta, li avviso che il Sudafrica sta per andare il lockdown e che non sarà più possibile far uscire la merce via DHL. Dopo diversi contatti telefonici informali viene incaricato della pratica un funzionario che mi dice che è all’attenzione degli organi deliberanti.
E poi?
Passa un altro giorno e solo dopo altri solleciti, la sera, mi dicono che “la struttura commissariale è operativa, seppure in fase transitoria dal Dipartimento Protezione Civile, in quanto sta formalizzando gli ordini precedentemente acquisiti dalla Protezione Civile. Pertanto... siamo costretti a dare precedenza a quanto già impegnato per non perdere le occasioni già acquisite”. E poi conclude scrivendo: “Laddove fosse possibile uno slittamento delle tempistiche, sarà nostra cura valutare l’offerta”. A voce mi spiegano che non dispongono ancora né di fondi né di un conto corrente per acquisti.
L’offerta quindi cade?
Non proprio. Il 26 marzo mi telefonano e mi chiedono certificazione di legge per le mascherine per “completare la registrazione dell’offerta”. In mattinata invio tutto e la sera comunico che il Sudafrica è in
lockdown e che non è più possibile consegnare. Chiedo a Invitalia se siano sempre alla ricerca di Dpi e se sono in grado di perfezionare i contratti.
Siamo al 28 marzo...
Sì. Faccio una seconda offerta da un altro cliente, stavolta cinese. Un milione di mascherine FFP2/KN95 e 2 milioni di chirurgiche. Il prezzo include la consegna a Fiumicino: 2.85 dollari per le FFP2 e 0.80 per le chirurgiche con disponibilità immediata e fornitura settimanale. A quel punto le nostre comunicazioni si incrociano, da Invitalia mi rispondono alla mail del 26 dichiarando formalmente l’interesse e la disponibilità “a prendere in esame nuove offerte anche di mascherine FFP2. In attesa di sue proposte”. Il 29 marzo invio una terza offerta di 1 milione di mascherine chirurgiche e 500mila FFP2.
A che prezzo?
Queste sono da ritirare a Shanghai, costano 0,36 euro le chirurgiche e 1,18 euro le FFP2, offerta valida per 72 ore. Mi chiedono dati e documenti. Li invio. Solo il 31 marzo mi riferiscono che l’istruttoria è completa e che l’offerta è dal pomeriggio del 30/3 all’attenzione degli organi deliberanti. Poi , poco dopo mi informano verbalmente che “al momento, l’acquisto di queste mascherine non è per noi una priorità”.
Una delle cose che potrebbero replicarle è che prima di importare ci sia bisogno del vaglio dell’Iss o dell’I na il (servono 3 giorni) e che le sue scadenze fossero troppo brevi, oltre che diano priorità a offerte da oltre 5 milioni di pezzi, evitando intermediari...
Queste condizioni non me l’hanno mai poste né indicate. Le scadenze erano nel loro interesse, se lo avessero chiesto bastava fare un impegno soggetto a tali verifiche. Lo ribadisco, queste questioni non sono state sollevate né accennate, altrimenti avremmo trovato una soluzione così come per i pagamenti alla consegna, espliciti nel primo caso e trattabili negli altri due. L’ultima proposta cinese, poi, era senza intermediari.
E ora? Perché lo racconta? Ora sto offrendo le stesse FFP2 e le FFP3 al NHS britannico (SSN), ad alcuni ospedali e al Governo della Gran Bretagna. Lo racconto per senso civico. Mi preoccupa l’apparente disfunzionalità di una struttura cardine sul fronte dell’emergenza, con la potenziale perdita di credibilità e di fiducia sia da parte dei cittadini che iternazionale.
Mi dicono: non possiamo finalizzare l’ordine perché c’è una ‘riprocedimentalizzazione’ interna. Una parola indimenticabile
Sulla seconda offerta chiudono con: ‘Al momento, l’acquisto di queste mascherine non è per noi una priorità’ Prezzi alti? Si poteva trattare