Il Fatto Quotidiano

Cronaca di un anniversar­io finito sotto chiave: Raffaello

L’evento per l’anniversar­io dell’artista è stato irresponsa­bilmente inaugurato il 13 marzo

- » TOMASO MONTANARI

“Il bello è un quadro tale che lo s i possa mettere nella cella di un condannato a ll ’ isolamento perpetuo senza che ciò sia un’atrocità, anzi il contrario”.

Mai come in queste settimane di reclusione forzata nelle nostre abitazioni possiamo comprender­e la saggezza di questa definizion­e, che dobbiamo a Simone Weil, una delle voci più alte della filosofia del Novecento.

Ese mi chiedo quale quadro vorrei nella mia stanza pensando di non poterne mai più uscire, ebbene ne vorrei uno di quel Raffaello che, quando era vivo, sembrò vincere la natura, e morendo parve far morire con lui la natura stessa. Sono le parole che probabilme­nte Pietro Bembo dettò per la tomba di Raffaello: che morì, a 37 anni, esattament­e mezzo millennio fa, il 6 aprile del 1520. Non è forse l’artista che abita di più il mio spirito (dove Rembrandt, Velázquez, Goya sono di casa…), ma dovendo provare a dire cosa siano il bello, la bellezza (queste parole così pericolose, nelle mani di demagoghi e seduttori di varia natura…), ebbene è il nome di Raffaello quello che affiora alla labbra. Perché la sua – come scrisse Renoir della Madonna della seggiola – “è la pittura più libera, più salda, più meraviglio­samente semplice e viva che sia dato di immaginare”.

RAFFAELLO, dunque, merita ogni celebrazio­ne possibile. Ma agli occhi di molti, il cinquecent­enario è stato irrimediab­ilmente rovinato dal Coronaviru­s, che ha imposto la chiusura della grande mostra delle Scuderie del Quirinale, una settimana dopo che era stata vergognosa­mente inaugurata (alla presenza del presidente Mattarella) il 3 marzo scorso, a epidemia dilagante. La situazione è, in effetti, degna di un film di fanta-storia dell’arte: alcune delle opere più importanti di Raffaello hanno affrontato viaggi comunque rischiosi per essere chiuse a chiave dove nessuno può goderne. Così sono finite la difficile spartizion­e che ha grottescam­ente stabilito al tavolo della politica che Leonardo (il cui cinquecent­enario era nel 2019) sarebbe toccato alla Francia e Raffaello all’Italia; tutta la prostituzi­one dei musei ai grandi e rapaci sponsor; tutte le tonache della coerenza che tanti storici dell’arte hanno buttato alle ortiche pur di esserci; tutta la cieca prepotenza dei superdiret­tori dei supermusei, che hanno fatto carte false per prestare i Leonardo (vedi l’Uomo Vitruviano di Venezia) e poi i Raffaello: la farina del diavolo, stavolta, è finita in crusca.

Ma perché non provare a trarre una lezione da tutto questo? Con ogni probabilit­à le mostre saranno tra le ultimissim­e cose a ripartire: perché è assai difficile imporre un severo distanziam­ento e ancor più difficile poter definire poi (in caso di nuovi positivi) il primo anello della catena del contagio. Ma mentre per i musei, per le bibliotech­e, per i cinema, per i teatri – che sconterann­o almeno in parte analoghe difficoltà – credo si debba far di tutto, sul piano tecnologic­o e organizzat­ivo, per provare a ripartire, sulle mostre potremmo davvero ripensarci. Potremmo decidere di passare dalle circa 10 mila mostre che si aprono ogni anno in

Italia a farne d’ora in poi solo la centesima parte, cioè un centinaio circa: fino a quando dovremo convivere con questo o altri virus (e potrebbe essere anche non una parentesi, ma una nuova epoca…) il costo organizzat­ivo di una mostra sarebbe esponenzia­le, e dovrebbe davvero valerne la pena.

MA, SI DIRÀ, Raffaello sarebbe tra gli artisti che comunque la meriterebb­ero, una mostra, in una occasione come questo tondissimo centenario. Ebbene, no: proprio questo è il punto. La prima categoria di mostre da abbandonar­e sarebbe proprio quella dei carrozzoni celebrativ­i costruiti dalla politica: bisognereb­be fare solo le mostre necessarie. Qualunque tema riguardino. Cioè quelle che nascono da un lungo lavoro di ricerca originale, capace di parlare anche al grandissim­o pubblico e al contempo di far avanzare significat­ivamente la conoscenza accostando opere che di solito sono separate.

Poco prima di dimettersi, il ministro Lorenzo Fioramonti stabilì che io sostituiss­i il rappresent­ante del Miur nel Comitato Nazionale per la celebrazio­ne di Raffaello. Tutto era stato ormai già deciso: il comitato non venne più riunito, e dunque non sono correspons­abile di alcuna scelta. Ma ho potuto almeno leggere i verbali, apprendend­o che del milione di euro abbondante che è stato seminato a pioggia, il 90% è stato destinato a … mostre. (E, lo noto per inciso, apprendo anche che non è stata affatto seguita la raccomanda­zione messa a verbale da uno dei più autorevoli membri del comitato, Silvia Ginzburg, che “esprime perplessit­à sul fatto di attribuire finanziame­nti ad eventi con comitati scientific­i nei quali sono coinvolti membri del Comitato”). Cosa avrei proposto io? Di spendere tutto quel milione per parlare di Raffaello in ognuna delle circa 45.000 scuole della Repubblica. Avremmo potuto formare, e pagare decentemen­te, giovani storici dell’arte capaci di spiegare a tutti perché Raffaello è così importante, e non solo come artista ma anche come autore del primo vero manifesto per la tutela pubblica del patrimonio culturale: quella lettera a Leone X del 1519 il cui manoscritt­o (vergato da Baldassare Castiglion­e) lo Stato acquistò nel 2016 su mia segnalazio­ne, e grazie alla capacità di un dirigente esemplare del Mibact, Gino Famigliett­i.

In quella lettera, Raffaello scrive che non può tacere degli

In un magazzino Le opere del pittore hanno affrontato viaggi rischiosi per essere chiuse a chiave dove nessuno può goderne

scempi del patrimonio fatti dai potenti del suo tempo: e che dunque parlerà, “per amore dell’antichità e della verità”. Sarebbe stato un bel titolo e un bel programma per una grande campagna di educazione alla bellezza e alla responsabi­lità. E sarebbe bello non doverla aspettare altri 100 anni.

Bisognereb­be fare solo le mostre necessarie, quelle che nascono da un lungo lavoro di ricerca originale, capace di parlare anche al grande pubblico e di far avanzare la conoscenza

Avrei proposto di spendere quel milione per parlare di Raffaello nelle circa 45.000 scuole d’Italia, pagando giovani storici dell’arte

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Il ritratto di Papa Leone X con i cardinali di Raffaello. A sinistra il manoscritt­o della Lettera a Leone X
LaPresse Ritratti Il ritratto di Papa Leone X con i cardinali di Raffaello. A sinistra il manoscritt­o della Lettera a Leone X
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