Covid-19: caccia ai soldi dietro la corsa ai vaccini
LA GARACinque grandi multinazionali stanno sono in competizione per scovare la formula per immunizzare il mondo. Ma dipenderà dai prezzi: chi potrà curarsi e chi no
La corsa contro il tempo per sviluppare vaccini e terapie contro la pandemia da coronavirus è una competizione globale. In gara, secondo i dati più recenti del Milken Institute – un think tank sulla salute pubblica – a sabato scorso c’erano aziende, istituti e università con 97 trattamenti farmacologici tra anticorpi, antivirali, terapie basate sull’Rna e cellule ma soprattutto 52 vaccini che saranno fondamentali per prevenire la malattia. Ma prima che i test clinici, anche in forma accelerata, possano condurre alla produzione di massa passeranno dai 12 ai 18 mesi nello scenario più ottimistico. La ricerca, sia pubblica che privata, sta viaggiando a piena velocità e farà guadagnare valanghe di denaro alle aziende produttrici che deterranno un enorme potere geopolitico. Nel mondo di big pharma, il settore dei vaccini però è solo una delle fette della torta della farmaceutica e nemmeno la più appetibile, anche se può realizzare giganteschi affari durante le pandemie. Sarà il prezzo dei vaccini a fare la differenza tra chi potrà curarsi e chi invece dovrà convivere con il rischio di contrarre il virus.
SECONDO le stime di Fortune Business Insights realizzate prima dell’esplosione dell’epidemia di Covid-19, nel 2018 il mercato globale dei vaccini aveva raggiunto un valore di 37,4 miliardi di euro e potrebbe raggiungere gli 83,6 miliardi entro il 2026. Cifre alle quali ora si aggiungeranno i ricavi della campagna vaccinale globale contro Covid-19. Quasi quattro quinti delle vendite globali di vaccini provengono da cinque multinazionali: si tratta di GlaxoSmithKline (Regno Unito, 34,2 miliardi di giro d’affari nel 2018), Merck (Usa, 36,83 miliardi), Sanofi (Francia, 34,46 miliardi), Pfizer (Usa, 46,72 miliardi) e Gilead Sciences (Usa, 19,3 miliardi). Le multinazionali spesso esternalizzano le attività di ricerca e sviluppo. I produttori di vaccini sono rappresentati dalla Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche (Ifpma). Dagli anni ‘80 alcuni produttori di vaccini sono stati fondati nei Paesi in via di sviluppo: attualmente forniscono circa la metà dell’approvvigionamento di vaccini in termini di volumi e circa il 30% del valore dell’approvvigionamento totale di vaccini dell’Unicef. Queste società hanno portato a un calo dei prezzi grazie all’aumento della concorrenza. La loro associazione è la Rete di produttori di vaccini dei Paesi in via di sviluppo (Dcvmn).
Tuttavia, sono relativamente pochi i produttori di vaccini in grado di soddisfare gli standard di qualità stabiliti dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). I mercati dei singoli vaccini sono così ormai ridotti a monopoli o oligopoli. Inoltre per le imprese farmaceutiche investire denaro tempo e ricerca nella produzione di vaccini in grado di sradicare totalmente una malattia, come avvenuto nei decenni scorsi con il vaiolo, non è conveniente quanto produrre farmaci per curare malattie croniche. Nel 2018, la banca d’affari Goldman Sachs ha stimato che il trattamento prodotto da Gilead Science per l’epatite C, che ha prodotto tassi di guarigione superiori al 90%, nel 2015 aveva fatturato solo negli Usa 12,5 miliardi di dollari che però tre anni dopo si erano ridotti ad “appena” 4 miliardi perché si era “gradualmente esaurito il pool disponibile di pazienti curabili”. Anche uno studio di McKinsey spiega che la ricerca e sviluppo di nuovi vaccini vanno incontro a controlli più stretti sui prodotti più complessi, con tempi più lunghi per l’approvazione dei prodotti. Ovvero costi più elevati: “Data la natura preventiva di questi farmaci, i vaccini affrontano un livello elevato di qualità e sicurezza, che pertanto aggiunge complessità e costi aggiuntivi durante tutto il processo di sviluppo”. Così investire nella produzione di farmaci rende spesso il doppio o il triplo rispetto a finanziare dei vaccini, anche nei casi di maggior successo come quello del vaccino pneumococcico coniugato che ha avuto un picco di fatturato di 6 miliardi di dollari.
L’OMS ha sviluppato da anni una strategia globale 2019-2030 contro l’influenza e i rischi di pandemie polmonari per la quale ha continuato a chiedere investimenti pubblici e privati. Ma sarà il prezzo dei vaccini a fare la differenza tra gli Stati e i privati che potranno pagare per immunizzarsi contro la pandemia di Coronavirus e coloro che non potranno. La questione è fondamentale per miliardi di persone che vivono nei Paesi poverissimi, poveri e a medio reddito, dove mancano le risorse anche solo per potersi lavare le mani, senza immaginare mascherine o tamponi. Ma paradossalmente il prezzo dei vaccini riveste un ruolo fondamentale anche nel Paese ricco per antonomasia e in realtà primo per diseguaglianza sociale: negli Usa il presidente Trump continua a insistere sul ruolo dei vaccini. Lunedì 2 marzo i vertici delle principali imprese farmaceutiche mondiali si sono incontrate alla Casa Bianca con
Trump per discutere della ricerca e sviluppo di un vaccino anti Covid-19. Erano presenti gli amministratori delegati di Gilead, GlaxoSmithKline, Moderna, Novavax e CureVac oltre i capi dei settori R&D di Sanofi, Johnson & Johnson e Pfizer.
Ma la vera differenza la farà la possibilità per tutti di potersi vaccinare, che è legata al prezzo e alla disponibilità di copertura sanitaria pubblica o privata. Nel 2010 il presidente Usa Barack Obama varò la riforma della sanità nota come Obamacare con cui estese a decine di milioni di statunitensi poveri la copertura sanitaria. Ma nel 2017 l’ordine esecutivo presidenziale 13.813 di Donald Trump cancellò parte dei benefici introdotti da Obama. Su 330 milioni di cittadini Usa, secondo gli ultimi dati del 2018, 159 milioni avevano l’assistenza sanitaria di base pagata dai datori di lavoro (che spesso però non copre nemmeno i costi da migliaia di euro dei tamponi necessari per il test del coronavirus), altri 84 milioni un altro tipo di copertura, ma 28,6 milioni erano senza alcun tipo di copertura sanitarie. Il tasso di popolazione Usa non coperta per le spese sanitarie nel 2018 è così risalito di nuovo l’8,9% dal minimo dell’8,6% cui era sceso nel 2016. Nelle ultime ore così Trump ha annunciato che il governo Usa pagherà le cure per il coronavirus a chi non ha un'assicurazione sanitaria usando fondi dal pacchetto di aiuti economici da 2.200 miliardi di dollari varato la settimana scorsa.
UNA TORTA ENORME
Il mercato di questi farmaci raggiungerà gli 83,6 miliardi entro il 2026, più quelli per la nuova epidemia
I PIÙ DEBOLI, I PIÙ ESPOSTI
Nei Paesi poveri e a medio reddito, molti malati non potranno accedere a questi medicinali: rischio catastrofe