Il Fatto Quotidiano

Mario Benedetti, addio: senza di te “al mondo c’è meno luce”

- » LEONARDO COEN © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Caro Enrico, venerdì 27 marzo il Coronaviru­s ha ucciso Mario Benedetti, grande poeta friulano. La notizia è passata inosservat­a, e questo mi addolora. Era malato da anni. È mancato nella casa di cura di Piadena, in provincia di Cremona. Lo ricorda Umberto Fiori in un malinconic­o post su doppiozero.com. I due hanno insegnato al milanese Istituto per il Turismo L.V. Bertarelli, in corso di Porta Romana, a due passi dall’abitazione di Dario Fo. Benedetti, nato a Udine nel 1955, era della vicina Nimis, dove si produce dell’ottimo vino (superbo il Ramandolo) e dove Ippolito Nievo ambientò Il Conte pecoraio, scritto cent’anni prima che Benedetti nascesse. Verso la Slovenia, ad est, dopo Attimis si arriva, percorrend­o stradine tortuose, a Porzus, il luogo dell’eccidio, quando 17 partigiani della Brigata Osoppo (cattolici e laici socialisti) furono trucidati da un manipolo di gappisti del partito comunista. Tra loro, anche il fratello di Pasolini. Una brutta ferita della nostra storia. Quando muore un poeta, “al mondo c’è meno luce per vedere le cose”, scrisse Alda Merini. La luce di Benedetti era spesso cruda, evocava sofferenza, asprezze della vita. Basta leggere Tutte le poesie (2017) che Garzanti pubblicò nella collana “I grandi libri”. Stefano Dal Bianco, uno dei curatori, lo spiega: “Stare vicini a Mario era sentire una energia che veniva da chissà dove, fredda e compressa e mista di intransige­nza, di autentica cattiveria e totale apertura a qualunque possibilit­à di pensiero, a qualunque tenerezza...”. In Mio padre (da Il parco del Triglav, 2009) certi versi, riletti oggi, sembrano l’epitaffio di questi giorni drammatici, assurdi. Fuori delle nostre case, il contagio, la paura; dentro le nostre case il Contenimen­to, e per molti, la solitudine, l’attesa: “Sta solo fermo nella tosse/Un po’prende le mani e le mette sul comodino/per bere il bicchiere d’acqua comprata,/ come tanti prati guardati senza dire niente/tante cose fatte in tutti i giorni”. Non c’è autocommis­erazione. È che tutto ciò che succede - che ci succede - non pare vero.

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