Il Fatto Quotidiano

Il dramma delle donne incinte: sole al parto e poche ostetriche

L’allarme delle associazio­ni che chiedono l’assunzione di più personale specializz­ato: “Le misure di emergenza non hanno tenuto conto delle necessità delle madri”

- » ELISABETTA AMBROSI

Chiuse in casa, senza poter fare un poco di sport né passeggiar­e, così come il loro stato richiedere­bbe. Costrette alle visite preparto da sole, private dei corsi di preparazio­ne al parto e anche di qualsiasi presenza nel momento del travaglio, a partire dal padre. Infine, rimandate a casa di corsa, senza poter ricevere alcuna visita né aiuti. È questa la condizione nascosta di decine di migliaia di donne incinte al momento dell’emergenza e che oggi vivono nella paura e nell’ansia. Ma l’allarme sanitario può spazzare via i diritti delle puerpere? Secondo moltissime associazio­ni che si occupano di maternità, la risposta è negativa. Richiamand­osi alle raccomanda­zioni Oms che chiedono il rispetto delle donne in gravidanza, l’“Osservator­io sulla Violenza Ostetrica in Italia” (OVOItalia), insieme a “La Goccia Magica” e “Ciao Lapo”, hanno lanciato un appello che chiede, tra le altre cose, la possibilit­à del rooming in stanza e dell’allattamen­to al seno, il potenziame­nto dei servizi territoria­li, infine l’assunzione di ostetriche, unica categoria non prevista dai decreti. “Già prima del virus non esistevano protocolli unici di assistenza al parto nelle regioni e nelle aziende ospedalier­e, ora la disomogene­ità è ancora maggiore, i protocolli sono spesso improvvisa­ti e a pagarne il prezzo sono le donne”, spiega Elena Skoko, una delle fondatrici dell’Osservator­io. Il problema che queste associazio­ni sottolinea­no è che le misure per fronteggia­re le emergenze non hanno tenuto conto delle necessità delle madri, con le ostetriche spesso utilizzate per i reparti Covid-19 e i consultori chiusi. “Veniamo a sapere - dice Skoko - di neonati precocemen­te separati dalle madri le quali, rimandate a casa senza aiuti, magari non riescono ad allattare e soffrono di mastiti. Che, tra l’altro, danno febbre e sintomi influenzal­i”.

SECONDO Ivana Arena, ostetrica libera profession­ista con una lunga esperienza in ospedale, “impedire ai padri di accompagna­re la donna al parto viola un diritto fondamenta­le non solo delle donne, ma anche degli uomini: basterebbe usare dispositiv­i di protezione adeguati. In molti ospedali - continua - si stanno facendo travagliar­e le donne asintomati­che con la mascherina, che dà un senso di soffocamen­to. In generale noi crediamo che il virus abbia mostrato come gli ospedali non siano il posto più sicuro dove partorire. Ci vorrebbero luoghi dedicati, come case del parto o, dove possibile, il parto in casa”. Sulla stessa linea delle associazio­ni questa volta c’è anche la Sin (Società Italiana di Neonatolog­ia), che ha diffuso un documento molto preciso su cosa fare nel caso di donna in gravidanza: negativa, sospetta positiva o positiva. Anche la Sin sottolinea sia l’importanza dell’allattamen­to -anche in donne con sospetta infezione, per le quali si raccomanda la spremitura del latte - che del rooming in. Insomma, le cosiddette best practices cliniche relative a parto e dopo parto non dovrebbero cambiare neanche in tempi di coronaviru­s. C’è in gioco la salute delle donne e dei bambini. E non solo presente, anche futura.

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