Il dramma delle donne incinte: sole al parto e poche ostetriche
L’allarme delle associazioni che chiedono l’assunzione di più personale specializzato: “Le misure di emergenza non hanno tenuto conto delle necessità delle madri”
Chiuse in casa, senza poter fare un poco di sport né passeggiare, così come il loro stato richiederebbe. Costrette alle visite preparto da sole, private dei corsi di preparazione al parto e anche di qualsiasi presenza nel momento del travaglio, a partire dal padre. Infine, rimandate a casa di corsa, senza poter ricevere alcuna visita né aiuti. È questa la condizione nascosta di decine di migliaia di donne incinte al momento dell’emergenza e che oggi vivono nella paura e nell’ansia. Ma l’allarme sanitario può spazzare via i diritti delle puerpere? Secondo moltissime associazioni che si occupano di maternità, la risposta è negativa. Richiamandosi alle raccomandazioni Oms che chiedono il rispetto delle donne in gravidanza, l’“Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia” (OVOItalia), insieme a “La Goccia Magica” e “Ciao Lapo”, hanno lanciato un appello che chiede, tra le altre cose, la possibilità del rooming in stanza e dell’allattamento al seno, il potenziamento dei servizi territoriali, infine l’assunzione di ostetriche, unica categoria non prevista dai decreti. “Già prima del virus non esistevano protocolli unici di assistenza al parto nelle regioni e nelle aziende ospedaliere, ora la disomogeneità è ancora maggiore, i protocolli sono spesso improvvisati e a pagarne il prezzo sono le donne”, spiega Elena Skoko, una delle fondatrici dell’Osservatorio. Il problema che queste associazioni sottolineano è che le misure per fronteggiare le emergenze non hanno tenuto conto delle necessità delle madri, con le ostetriche spesso utilizzate per i reparti Covid-19 e i consultori chiusi. “Veniamo a sapere - dice Skoko - di neonati precocemente separati dalle madri le quali, rimandate a casa senza aiuti, magari non riescono ad allattare e soffrono di mastiti. Che, tra l’altro, danno febbre e sintomi influenzali”.
SECONDO Ivana Arena, ostetrica libera professionista con una lunga esperienza in ospedale, “impedire ai padri di accompagnare la donna al parto viola un diritto fondamentale non solo delle donne, ma anche degli uomini: basterebbe usare dispositivi di protezione adeguati. In molti ospedali - continua - si stanno facendo travagliare le donne asintomatiche con la mascherina, che dà un senso di soffocamento. In generale noi crediamo che il virus abbia mostrato come gli ospedali non siano il posto più sicuro dove partorire. Ci vorrebbero luoghi dedicati, come case del parto o, dove possibile, il parto in casa”. Sulla stessa linea delle associazioni questa volta c’è anche la Sin (Società Italiana di Neonatologia), che ha diffuso un documento molto preciso su cosa fare nel caso di donna in gravidanza: negativa, sospetta positiva o positiva. Anche la Sin sottolinea sia l’importanza dell’allattamento -anche in donne con sospetta infezione, per le quali si raccomanda la spremitura del latte - che del rooming in. Insomma, le cosiddette best practices cliniche relative a parto e dopo parto non dovrebbero cambiare neanche in tempi di coronavirus. C’è in gioco la salute delle donne e dei bambini. E non solo presente, anche futura.