Sanità privata L’impegno dei singoli non può cancellare l’anomalia di sistema
Nei periodi inconsapevoli della proto-pandemia circolava una foto di Rocco Siffredi con la scritta “un metro di distanza? Non c’è problema”. La differenza fra un black-out e un lockdown riaccende tutte le problematiche relative ai legami fra sessualità e riproduzione. Se un buio temporaneo riaccende i desideri ed è seguito da un relativo baby boom, le prolungate lontananze obbligatorie e sospettose, condite da confuse valutazioni e previsioni catastrofiche, di certo non aiutano la sessualità e saranno inevitabilmente seguite da un peggioramento della già critica denatalità. Si aggiunga poi che le fecondazioni artificiali sono state bloccate su tutto il territorio nazionale sia perché le procedure richiedono accessi plurimi in ambienti sanitari sia perché si attendono ulteriori informazioni sugli effetti del virus e delle eventuali terapie antivirali aggressive sulla gravidanza. Con questo periodo di stop ci siamo già giocati almeno 2000 bambini. Insomma nella fase due non dimentichiamo gli infanti. Tra gli aiuti post-pandemici gli incentivi alla natalità e le agevolazioni ai servizi per chi ha difficoltà concezionali devono trovare un posto. Brecht ha scritto: “Durante la guerra il conflitto fra la madre di chi è morto in battaglia e la madre di chi produce selle per i cavalli da guerra è inevitabile”. Almeno loro avevano figli.
SONO UN VOSTRO LETTORE ormai da anni e apprezzo molto la qualità e l’onestà intellettuale di molti degli articoli che pubblicate. Solo una cosa mi amareggia: i continui riferimenti negativi alla sanità privata che leggo (non ultimo nell’intervista ad Alessandro Barbero) e la sua presunta inferiorità rispetto a quella pubblica. Da medico che lavora, come meglio può, in una clinica privata convenzionata, mi sento mortificato e umiliato. È VERO, CONLA SANITÀ PRIVATAsiamo spesso critici, caro dottore. Ma mai abbiamo voluto mortificare o umiliare i medici che lavorano nelle strutture sanitarie private. Abbiamo anzi riconosciuto, in una lettera aperta ai medici del settore privato, il loro impegno e la loro dedizione durante questa emergenza. L’impegno e la dedizione dei singoli non può però cancellare l’anomalia di sistema: in Lombardia, con la riforma avviata da Roberto Formigoni, si è creato un sistema misto in cui è la sanità pubblica a essere mortificata e umiliata. Le sono state tolte risorse, sono stati chiusi ospedali, sono stati dimezzati i posti letto. Intanto sempre più soldi (pubblici) sono affluiti alla sanità privata, messa sullo stesso piano di quella pubblica, ma lasciata con una sua autonomia. Quella di scegliere, per esempio, le prestazioni che vuole erogare ai suoi “clienti”: sono di solito le più remunerative, perché ha come fine – legittimo – il profitto, non la cura universale, come invece la sanità pubblica, a cui sono lasciate le prestazioni più onerose. Quella di tenere le sue proprie agende e liste delle prenotazioni, mentre i tempi d’attesa del pubblico diventano lunghissimi. Il sistema è sbilanciato. Tiene nei momenti “normali” e magari mostra, in qualche settore, anche un miglioramento d’efficienza. Ma nelle fasi d’emergenza salta: è quello che è successo in Lombardia nelle prime settimane di espansione epidemica da Covid-19 (in Veneto le cose sono andate meglio anche perché la sanità pubblica è più forte). Le risorse tolte negli anni al sistema pubblico e i posti letto persi hanno pesato, nei primi momenti di crisi, quando la velocità di risposta avrebbe potuto limitare i contagi. Nella prima settimana d’emergenza, i privati erano assenti e sono stati coinvolti solo con la delibera del 4 marzo del presidente Attilio Fontana, che li ha poi “ringraziati” per essere “entrati” nel “nostro sistema”. Ma i privati non si vantano di essere già parte integrante del Sistema sanitario nazionale?