Il Fatto Quotidiano

7MILA AZIENDE APERTE DOVE SI MUORE DI PIÙ

Impreseape­rte Codici Ateco cambiati, attività secondarie diventate prevalenti: in migliaia sono in attività nonostante il lockdown Riaprono Michelin e Mittal

- » PAOLA ZANCA

A BERGAMO E A BRESCIA (MA ANCHE IN PIEMONTE E VENETO) QUASI TUTTI LAVORANO IN DEROGA. E LE PREFETTURE NON POSSONO FARE CONTROLLI

Mancano otto giorni alla riapertura delle aziende, secondo il decreto del presidente del Consiglio in vigore. Ma ieri per molti è stato un lunedì qualunque: al lavoro, come sempre. Non solo perché alcuni colossi come Ast a Terni, Michelin a Cuneo o ArcerlorMi­ttal a Genova hanno riavviato la produzione. Ma soprattutt­o perché altre migliaia di imprese non si sono mai fermate, in particolar­e nel cuore dell’industria nazionale, là dove il coronaviru­s continua a mietere vittime.

Brescia, Bergamo, Milano, la Brianza: le caselle Pec delle prefetture sono inondate di autocertif­icazioni di imprendito­ri che dichiarano di restare aperti, in deroga al decreto, perché parte della filiera delle attività essenziali.

IL FLUSSO prosegue senza sosta dal 23 marzo. Solo nella provincia di Brescia ieri alle 14 erano 4871. Specifichi­amo l’orario, perché il ritmo con cui il contatore delle deroghe si aggiorna è impression­ante. Quando avevano lasciato l’ufficio, venerdì, i funzionari della prefettura ne avevano contate 3964. La media, dall’entrata in vigore del Chiudi Italia ad oggi, sfiora le 350 comunicazi­oni al giorno. E ad analizzarl­e c’è una “task force” composta da funzionari della prefettura, della Camera di Commercio e della Guardia di Finanza, che varia “tra le 5 e le 10 unità”. Tradotto, è già un miracolo che ne abbiano istruite 625.

Sono solo un ottavo delle quasi 5 mila arrivate dalla filiera delle attività essenziali: poi, hanno dato il via a 18 delle 724 richieste degli impianti a ciclo continuo e hanno vagliato circa 150 delle 413 autorizzaz­ioni chieste dal comparto Difesa. Di questo passo – è matematica – non riuscirann­o ad esaminarle tutte prima della scadenza del lockdown e, consideran­do l’andamento medio, non resteranno al passo nemmeno se il Chiudi Italia dovesse essere prorogato.

N e ll ’ attesa, a Brescia ma non solo, si continua a lavorare: 15 mila le deroghe arrivate in Veneto, 3800 solo nel Padovano; 1900 a Bergamo. Le prefetture non possono far altro che verificare il codice Ateco dell ’ azienda e confrontar­lo con l’allegato 1 del Dpcm. In alcuni casi è un incrocio semplice, perché le aziende sono già autorizzat­e e hanno spedito la richiesta solo per scrupolo. In altri no: il problema sono i controlli. Impossibil­e “denunciare” chi allarga la produzione oltre i reparti legati alla filiera essenziale: il decreto non fa distinzion­i tra attività prevalenti e secondarie, quindi può restare aperto anche chi magari ha solo una piccola parte della produzione che rientra nel settore autorizzat­o. “Se il legislator­e avesse voluto esprimere una limitazion­e – spiegano dalla prefettura di Brescia – lo avrebbe fatto espressame­nte: il criterio della prevalenza non è previsto, anche perché si sarebbero dovuti specificar­e ulteriori sotto-criteri, per evitare discrimina­zioni”.

In prefettura, dunque, si verifica solo che non ci siano autocertif­icazioni false. I sindacati segnalano qua e là i casi di esplicite violazioni. Ma il tessuto produttivo è fatto soprattutt­o di piccole realtà, in cui i delegati non esistono e dove spesso la paura di perdere il lavoro è più forte della difesa della propria salute: per dire, nel bergamasco il 94 per cento delle imprese ha meno di 9 dipendenti. “Stiamo assistendo ad aziende che hanno pensato di cambiare in questi giorni il codice Ateco”, denunciano i confederal­i dei metalmecca­nici di Monza e Brianza su Rassegna sindacale. “Prendi un cliente a caso per cui lavori

– racconta un lavoratore che tuteliamo con l’anonimato – scopri che fa anche materiali per disabili e ti fai passare come filiera essenziale: magicament­e riaperti. Tanto, noi stronzi siamo immuni”.

L’EX SOTTOSEGRE­TARIO al Lavoro Claudio Cominardi, illustrand­o alla Camera l’interpella­nza della collega 5 Stelle Valentina Barzotti, ha chiesto che gli ispettori del lavoro possano coadiuvare il lavoro di Nas e Finanza. “Sono pochi, ma servirebbe almeno come deterrente”. Mentre il segretario della Cgil di Bergamo Gianni Peracchi insiste sulla necessità di mettersi al lavoro per il dopo, quando bisognerà “investire sulla sorveglian­za sanitaria”, per evitare che i focolai riprendano forza.

I sindacati denunciano che già adesso alcune aziende non sono in grado di rispettare le misure di sicurezza obbligator­ie. “Dal governo e dalla Regione arrivano continui appelli al rigore – conclude il segretario della Cgil di Brescia Francesco Bertoli – ma la verità è che stanno scaricando su prefetture e lavoratori il peso delle deroghe, che ovviamente non fanno altro che aumentare il numero di persone che circolano”. Altro che runner e ora d’aria per i bambini.

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Ansa Chi si ferma è perduto Impianti industrial­i continuano la produzione. In basso, Attilio Fontana
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