Il Fatto Quotidiano

“Io bravo ragazzo? No, ero tutto sesso droga e rock&roll”

Dal playback con “Una lacrima sul viso” a una vita di eccessi, amicizie, affetti, timori. E tanti figli

- » ALESSANDRO FERRUCCI E STEFANO MANNUCCI Twitter: @A_Ferrucci

Lo sfogo, con tono ironico e consapevol­e, arriva a metà conversazi­one, quando Bobby Solo si strappa dal volto la lacrima sul viso, l’immagine di uomo rassicuran­te, puro, incravatta­to in stile anni Sessanta, e veste i panni più adatti al rocker, con tanto di giacchetta mentale di pelle, tutto sesso, droga (“qualche acido l’ho preso”), viaggi, avventure e goliardia. “La storia del buono mi ha rotto le palle. Ora basta: ho 75 anni”. E lo racconta in una bella biografia scritta con Dario Salvatori.

Come sta?

In stretta quarantena, però mi diverto da morire con i social e ogni sabato suono un’ora; ho il conforto di mio figlio Ryan, ha sette anni, poi ho otto nipoti, altri quattro figli e mia moglie; se volete adotto pure voi, basta che non pretendiat­e soldi.

Niente, niente?

(Ride) Qualcosina papà la dà sempre.

Nel 1996 ha inciso una canzone profetica sul virus, Fuga dal pianeta Terra.

È nel disco XV° Round, che rimetterò in vendita; per piazzarlo ho vissuto mille peripezie, e il testo non è mio, ma di Andrea Bellentani, un ragazzo bravissimo, secco, emaciato, con una treccia di capelli simile a quella di Romina Power quando si mostrava nuda in un film. Come le è venuta in mente Romina Power?

Senza offesa né per lei né per Al Bano, due amici, ma la mamma di Romina la spinse a girare quel film mezza nuda, e aveva solo quattordic­i anni...

È un osservator­e di lungo corso delle donne.

(Ride) Davvero?

Nel 1964 ha sbagliato il debutto a Sanremo per un’entraîneus­e.

La sera prima della gara Little Tony mi chiama: “Vieni con me”. Lui era già famoso, io agli inizi; così lo seguo e mi porta in un night: entro emi consegno al piacere.

Che ha combinato?

Non capii più nulla; prima di quella sera le donne le avevo ammirate sulle pagine de Il borghese e de Lo specchio; a diciannove anni non avevo avuto grandi avventure.

Quindi...

Nel locale trovo una ragazza austriaca con i capelli corti, biondi e un corpo spaventoso; (ci pensa) ho solo ballato, in quei posti se non tiravi fuori i contanti andavi in bianco, e nel portafogli avevo diecimila lire, dono di mia madre per i dieci giorni di Sanremo.

Pochini...

Infatti mi ha salvato la generosità di Tony: quando ci siamo incontrati e ha visto il mio ciuffo e l’atteggiame­nto alla Elvis, mi ha adottato; (ride) lui aveva già venduto un milione di dischi, era conosciuto pure in Inghilterr­a, e girava con una Jaguar color verde bottiglia, alla Diabolik.

Un divo...

Per dieci giorni mi ha pagato pranzi e cene, botte di aragosta, champagne, scampi, sogliole; così non potevo rifiutare la gita al night, solo che ho ballato, sudato e quando alle due di notte sono uscito, un po’ ubriaco, il raffreddor­e mi ha colpito; qui c’è un però.

Eccolo...

Sono sempre stato molto autocritic­o, e quando alle prove ho visto arrivare Paul Anka, carico di 100 milioni di copie vendute, e pure abbronzato, mi è preso un colpo.

Intimorito.

E certo, il suo brano era splendido, poi è arrivato Frankie Avalon tutto vestito di seta, pure lui abbronzato, un figo; infine ho ascoltato Bobby Rydell: insomma, mi è preso un colpo e quando è toccato a me, invece di cantare ho sfiatato, non usciva la voce (e simula la “sfiatata”).

Bel guaio...

Vincenzo Micocci, persona che ringrazier­ò per sempre, decise di puntare sul pl ayback. Per Sanremo era una novità.

Non si è opposto.

Mi squalifica­rono, ma avevo solo 19 anni e non sapevo nulla; quando ho conosciuto Micocci, dopo la prima audizione, mi chiese: “Lo farebbe un disco?”. E io: “Ho solo 5 mila lire al mese che mi passa mamma”. “No, se vende, i soldi glieli diamo noi”.

Perfetto.

All’epoca i big prendevano il 6 o 7 per cento sulla vendita, così per incoraggia­rlo rilanciai: “Va bene l’uno”; e Micocci: “Sotto il 2 ci arrestano per corruzione di minorenne”.

Con i soldi non era un granché...

Peggio di me Little Tony: quando suonavamo insieme, dovevo riscuotere io perché si vergognava; non si sporcava le mani, viveva da divo, mentre io ero più pratico; comunque non sono mai stato uno spendaccio­ne, è che mi hanno fregato sin dall’i n izio.

Come?

Una lacrima sul viso è un mio brano, ma è stato firmato da un direttore artistico della Ricordi, con la scusa che avevo 19 anni e non potevo, mentre tempo dopo ho scoperto che il limite di età per il diritto d’ingegno era di 16.

Quando si è illuminato? Ribadisco: in questo campo non sono mai stato uno sveglio; una sera mi ritrovo con gli autori di Non ho l’età, e mi rivelano: “Con questo brano abbiamo incassato 97 milioni”; con Una lacrima sul viso ne avevo presi due e mezzo.

Peccato...

Non ho rimpianti, la mia vita è come l’elettrocar­diogramma di un tizio con aritmia: alti e bassi continui.

A proposito di cuore: nella sua bio parla di un “batticuore” per la Vanoni. Anno 1963, avevo già inciso tre dischi senza vendere nulla, andavo nei negozi e mi compravo cinque o sei copie, tanto non mi riconoscev­ano.

Insomma, la Vanoni.

Nel 1963 vado alla Ricordi, prendo l’ascensore, e insieme a me entra Ornella, bella da paura, sensuale con la sua camicetta rosa: mi guarda e inizio a sudare. A tremare. Poco dopo, con nonchalanc­e, si apre due bottoncini, intravedo il reggiseno, e a momenti svengo, ma non sono stato in grado di parlare.

Negli anni ha recuperato. Nell’ambiente musicale ho avuto un flirt con Gabriella Ferri e poi alcune passioni non ricambiate; in Francia mi ero preso una scuffia per Françoise Hardy: non aveva tanto seno, ma due gambe assurde; (ci pensa) io sono un gambista.

Son passioni.

Amo le gambe, i polpacci e lei portava i tacchi a spillo senza calze: una da sballo; sempre in Francia ho vissuto un incontro di fuoco con una ragazzina di 19 anni, bella da morire, e durante il rapporto le dicevo: “Je t’aime”, ti amo, e lei rispondeva: “Menteur”, che vuol dire“mentitore ”, ma non conoscevo il francese. A orecchio capivo “montone”, così mi fomentavo e insistevo: “Je t’aime, je t’aime”. E lei: “Menteur, menteur...”.

Com’è stata la sua educazione sessuale?

Orribile. A quattordic­i anni, nel mio palazzo, lavorava un professore impiegato alla Fao; il professore mi regalava

Con Ricky Shayne per un anno ci siamo presi gli acidi; una volta mia madre ha confuso l’hashish per incenso

le sigarette d’importazio­ne, al mentolo, e da lui lavorava una cameriera di 55 anni, grassa, puzzolente e sudata.

Altro che Malizia...

Un pomeriggio citofono al professore, non lo trovo, lei mi salta addosso, mi schiaffa sul letto e ancora ricordo il suo alito e la vestaglia; alla fine ho pensato: se questo è il sesso, mi faccio frate.

Come è arrivato alla Ricordi?

Andavo al Classico e non studiavo, sotto il banco tenevo i testi di Elvis e li cantavo ( e inizia a imitarlo)...

Quindi?

Prendevo ripetizion­i da un professore e lì un giorno incontro un ragazzo, poi diventato giornalist­a, e fratello di un autore della Rai: “Ti posso aiutare”. Così ho ottenuto un appuntamen­to alla Ricordi, ma inizialmen­te non mi hanno fatto salire, sono rimasto nell’androne a giocare a battimuro con il portiere.

Fino a quando...

Accedo agli uffici e trovo Stelvia Ciani, una bella biondina che aveva tentato, senza

successo, la carriera di cantante, ed era rimasta come segretaria; poco dopo vedo una chitarra, e per sedurla inizio a imitare Elvis: passano un paio di minuti e si apre una porta ed esce un signore: “Chi canta?”. “Mi scusi, smetto subito”. “No, entra”. Era Micocci.

E il nome d’arte?

Un’incomprens­ione: mio padre, colonnello dell’A e r onautica e due medaglie d’argento, era severo, detestava la musica leggera. Si vergognava di me. Tanto da chiamare la Ricordi per diffidarli: “Se utilizzate il nome Satti, vi rovino”. Allora Micocci decide: “Americaniz­ziamo Roberto in Bobby”. “Bobby, e poi?” chiesero dall’etichetta. “Solo Bobby”. E la segretaria capì Bobby Solo.

Suo padre si è ricreduto?

Mai visto a un mio concerto e quando ho cantato in eurovision­e in bianco e nero, si è girato verso mia madre: “Bella canzone”. “È tuo figlio”.

E mamma?

Mi seguiva in tournée, viaggiava in pulmino con la band, io su una Mercedes Pagoda insieme alla mia prima moglie; siccome mi truccavo gli occhi, un giorno trovammo sul pulmino la scritta “Signorina Solo”; mamma incazzata si mise a urlare ai colpevoli: “Porta tu’ sorella e te faccio

vede’ chi è mio figlio”.

Da chi l’idea del trucco?

Mia! Negli anni Cinquanta e Sessanta anche gli attori americani e lo stesso Elvis erano costretti al rimmel per emergere nelle foto; per questo andai in una profumeria

davanti al Casinò di Sanremo, e c’erano due belle ragazze di vent’anni...

Ci risiamo.

Proposi uno scambio: “Volete vedere il Festival? Vi faccio entrare, ma voi portate un po’ di rimmel e mi sistemate alla Elvis”. Perfetto, solo che mi truccarono peggio di Claudia Cardinale e sul palco mi colò tutto: il regista s’impietosì nel dedicarmi un primo piano.

Anche negli Stati Uniti non è andata benissimo.

C’era un siciliano che mi aveva preso a ben volere, uno ricco con due ristoranti a New York; era circondato da due ballerine che chiamava “bambine”, ma avevano cinquant’anni e giravano con le calze a rete...

E insomma...

Un giorno si lancia: “Ti porto dal presidente della William Morris Agency”, la più importante agenzia dell’epoca, con Frank Sinatra, Nat King Cole e Dean Martin. Arriviamo, il tizio mi guarda, e mi inchioda: “Prendi la chitarra e mostrami il tuo talento”.

E lei?

Sono scappato dalla scala antincendi­o, urlando “mi vergogno, mi vergogno!”.

Nel libro parla di marijuana...

Ho iniziato a fine anni Sessanta, poi ho smesso perché mi causava disturbi intestinal­i; (ride) insieme al mio amico Ricky Shayne, per un anno, ho preso l’anfetamina: una volta anche prima di un concerto a Lamezia Terme, e sceso dal palco ho aggiunto dell’hashish nepalese.

Bel mix...

Credevo di levitare, poi siccome sono ipocondria­co, mi ha assalito la paranoia, fino a una crisi respirator­ia; all’una di notte finisco dal medico, che si accorge della pupilla dilatata e in calabrese mi bacchetta: “Dovrei chiamare la polizia, ma sono tuo fan: prendi 40 gocce di Valium e torna a Roma”.

Salvo.

Vivevo con mamma: rientro a casa, vado sotto la doccia, e mi esce dalla pelle l’odore dell’hashish, simile al cioccolato; mamma se ne accorge e soddisfatt­a mi abbraccia: “Sei stato in chiesa, sento profumo d’incenso”.

Un ribelle.

No, mi fa piacere.

Cosa?

Sono sempre stato dipinto come una specie di clown con lo smoking, ma sono tutt’altro. E ne ho viste... (sorride)

A cosa pensa?

A una tournée in Giappone: mi trovo al tavolo con Fats Domino, chiacchier­iamo e mi suggerisce: “Non mettere i soldi in banca”. “E dove?”. Apre una valigia, e vedo ogni ben di Dio tra diamanti e rubini.

In Giappone è stato protagonis­ta di una grave gaffe.

Ero giovane, un po’ superficia­le e sprovvedut­o; un pomeriggio arriva una ragazza molto carina: “L’imperatore l’aspetta lunedì a cena”. Ma il lunedì era il mio giorno di riposo, e soprattutt­o non sapevo chi fosse Hirohito, così ho rifiutato. Da allora, per cinque anni, non ho potuto più andare in Giappone.

Negli anni Settanta ha scoperto Pino Daniele.

Avevo una sala di registrazi­one, e un giorno arriva un ragazzo dopo la segnalazio

ne di un giornalist­a de l’Uni

tà. Lo ascolto e lo mando alla Emi: il genio era palese. Poi l’ho portato con me per le feste patronali del Lazio, e in Belgio da un amico promoter: aveva una chitarra Gibson rotta sul manico, ma suonava come B. B. King, una roba da paura.

Sempre nei Settanta è partito in tour con Aragozzini...

Grande Adriano, a lui voglio molto bene, ma è nevrotico: quando si incavolava gli prendevano delle crisi simili all’epilessia, tanto da rotolarsi sul divano; insieme siamo stati in Sudamerica con Nicola Di Bari. Quando Nicola beveva un pochino mi si avvicinava all’orecchio, e con un tono di voce strano, minaccioso, sussurrava: “Nun te allargà!”.

Gli anni Settanta sono anche celebri per le proteste ai concerti.

Nel 1971 mi chiamano per cantare al festival di Palermo, 60 mila spettatori e nel cartellone star come Johnny Hallyday, James Brown, Aretha Franklin e Santana; ma dal pubblico partivano insulti e fango contro i cantanti italiani, per questo Fred Bongusto si presentò sul palco vestito da cantante cubano, e con lo pseudonimo di Louis Gomez.

E lei?

Ero molto amico di Franco Franchi, così la sera prima lo raggiunsi nel suo albergo: “Fra’, temo i sassi”. “Ma tu vuoi cantare?”. “Sì”. “Non ti preoccupar­e”. Il giorno del concerto esco dalla roulotte, salgo sul palco, inizio con un pezzo di Elvis e il pubblico va in delirio.

E Franco Franchi?

Poi ho scoperto la verità: in mezzo ai 200 hippie ribelli, si erano piazzati una quarantina di bestioni tatuati che invitavano “a battere le mani per Bobby Solo”. Capito?

Lo ha ringraziat­o?

Ma no, sono sempre stato con lui, anche in una tournée di 40 date negli Stati Uniti: la sera, al ristorante, quando beveva, prendevo la chitarra e lui iniziava a cantare: “Mafia è legge d’onori, legge che spezza lo cuori” ( E ride).

Chi è lei?

Uno che non ha ancora capito bene se stesso.

Il sodalizio con Little Tony Lui era già famoso, io non avevo una lira, così al primo Sanremo mi ha pagato tutto, solo che mi portava nei night

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ?? Ansa ?? Protagonis­ti In alto, in trasmissio­ne con Adriano Celentano; sotto, un braccio di ferro con Gianni Morandi
Ansa Protagonis­ti In alto, in trasmissio­ne con Adriano Celentano; sotto, un braccio di ferro con Gianni Morandi
 ??  ??
 ??  ??
 ?? Ansa ?? Più di 50 anni insieme Bobby Solo e Little Tony si sono conosciuti nel 1964 e dopo hanno condiviso dei progetti
Ansa Più di 50 anni insieme Bobby Solo e Little Tony si sono conosciuti nel 1964 e dopo hanno condiviso dei progetti
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy