Boss, varato il dl Bonafede: celle isolate e ospedali piantonati, non scarcerazioni
Il governo approva il decreto. E l’emorragia si ferma
Verso il ritorno in carcere dei mafiosi e dei loro gregari, ai domiciliari per supposto aumento del rischio coronavirus, da quando in Italia è stato proclamato lo stato di emergenza sanitaria. Il governo, ieri sera, ha varato durante un Cdm straordinario, un decreto ad hoc voluto dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Ora i giudici possono rivedere le loro decisioni perché avranno per decreto indicazioni certe sulle strutture sanitarie disponibili, legate al circuito carcerario, per evitare che i mafiosi restino, o vadano ai domiciliari, assicurando comunque loro il diritto alla salute.
IL VIA LIBERA c’è stato prima dell’intervento del ministro alla Camera, martedì, per una informativa in merito e prima del voto di sfiducia personale per la mozione del centrodestra presentata giovedì in Senato, nonostante Bonafede avesse annunciato questo provvedimento e avesse dimostrato, durante il question time sulla mancata nomina a capo del Dap di Nino Di Matteo, nel 2018, che la sua decisione non avesse nulla a che fare con i timori esternati dai boss in carcere, dell’arrivo al Dap del pm antimafia.
È vero che per il ritorno in carcere dei boss la decisione finale non può che spettare alla magistratura, la cui indipendenza è garantita dalla Costituzione, ma il segnale del governo è chiaro: nessun ammorbidimento o ammiccamento verso la mafia. Tantomeno da parte del ministro Bonafede, che ha pure voluto il decreto di aprile con il quale ha reso obbligatorio il parere dei pm antimafia sulle istanze dei detenuti. Previsto pure un rafforzamento del ruolo del Dap, il dipartimento affari penitenziari. Nella sostanza, come anticipato dal Fatto, si dà ai giudici una normativa dettagliata per rivalutare le loro ordinanze che hanno portato a casa, dall’inizio dell’emergenza, 376 mafiosi. Gli strumenti forniti dal decreto valgono naturalmente anche per le decisioni che i giudici devono prendere in merito a partire da oggi.
La premessa che si legge nel testo riguarda i motivi del decreto che, come si sa, è un provvedimento per natura d’urgenza: “Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di introdurre misure in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da Covid-19, di persone detenute” per mafia, terrorismo e traffico di droga, “il magistrato di sorveglianza, o il Tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo” per i detenuti al 41-bis “valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria” entro 15 giorni dall’adozione del provvedimento di scarcerazione e poi ogni 30 (per le ordinanze già emesse il calcolo scatta dalla data del decreto).
Ma questi tempi saltano e il giudice può fare una valutazione immediata se il Dap “comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto” o di chi è ai domiciliari. Prima della decisione, l’autorità giudiziaria deve sentire il presidente della Regione competente “sulla situazione sanitaria locale e acquisisce” dal Dap le informazioni “in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta” in modo che il detenuto scarcerato “può riprendere la detenzione” senza rischi per la sua salute. Se le istanze da rivalutare riguardano imputati, tocca al pm attuare la procedura appena indicata per poi trasmetterla al giudice competente per la decisione. Ma se il giudice non ha ricevuto le informazioni necessarie, “può disporre, anche d’ufficio” accertamenti sulle condizioni di salute dell’imputato.
INFINE, nel decreto si stabilisce pure la “fase 2” per i colloqui in carcere, finora sospesi per il rischio contagio. Dal 19 maggio e fino al 30 giugno, i direttori delle carceri, anche per minorenni, “sentite le autorità sanitarie regionali” stabiliscono “il numero massimo di colloqui” di persona, “fermo il diritto” dei detenuti ad almeno un colloquio al mese con una persona.
La firma di Bonafede La decisione spetta comunque alla magistratura, ma il segnale è chiaro
Assistenza sanitaria I tempi saltano se il Dap “comunica la disponibilità di strutture adeguate”