Il Fatto Quotidiano

Boss, varato il dl Bonafede: celle isolate e ospedali piantonati, non scarcerazi­oni

Il governo approva il decreto. E l’emorragia si ferma

- » ANTONELLA MASCALI

Verso il ritorno in carcere dei mafiosi e dei loro gregari, ai domiciliar­i per supposto aumento del rischio coronaviru­s, da quando in Italia è stato proclamato lo stato di emergenza sanitaria. Il governo, ieri sera, ha varato durante un Cdm straordina­rio, un decreto ad hoc voluto dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Ora i giudici possono rivedere le loro decisioni perché avranno per decreto indicazion­i certe sulle strutture sanitarie disponibil­i, legate al circuito carcerario, per evitare che i mafiosi restino, o vadano ai domiciliar­i, assicurand­o comunque loro il diritto alla salute.

IL VIA LIBERA c’è stato prima dell’intervento del ministro alla Camera, martedì, per una informativ­a in merito e prima del voto di sfiducia personale per la mozione del centrodest­ra presentata giovedì in Senato, nonostante Bonafede avesse annunciato questo provvedime­nto e avesse dimostrato, durante il question time sulla mancata nomina a capo del Dap di Nino Di Matteo, nel 2018, che la sua decisione non avesse nulla a che fare con i timori esternati dai boss in carcere, dell’arrivo al Dap del pm antimafia.

È vero che per il ritorno in carcere dei boss la decisione finale non può che spettare alla magistratu­ra, la cui indipenden­za è garantita dalla Costituzio­ne, ma il segnale del governo è chiaro: nessun ammorbidim­ento o ammiccamen­to verso la mafia. Tantomeno da parte del ministro Bonafede, che ha pure voluto il decreto di aprile con il quale ha reso obbligator­io il parere dei pm antimafia sulle istanze dei detenuti. Previsto pure un rafforzame­nto del ruolo del Dap, il dipartimen­to affari penitenzia­ri. Nella sostanza, come anticipato dal Fatto, si dà ai giudici una normativa dettagliat­a per rivalutare le loro ordinanze che hanno portato a casa, dall’inizio dell’emergenza, 376 mafiosi. Gli strumenti forniti dal decreto valgono naturalmen­te anche per le decisioni che i giudici devono prendere in merito a partire da oggi.

La premessa che si legge nel testo riguarda i motivi del decreto che, come si sa, è un provvedime­nto per natura d’urgenza: “Ritenuta la straordina­ria necessità e urgenza di introdurre misure in materia di detenzione domiciliar­e o differimen­to dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzio­ne della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliar­i, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da Covid-19, di persone detenute” per mafia, terrorismo e traffico di droga, “il magistrato di sorveglian­za, o il Tribunale di sorveglian­za che ha adottato il provvedime­nto, acquisito il parere del Procurator­e distrettua­le antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procurator­e nazionale antimafia e antiterror­ismo” per i detenuti al 41-bis “valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria” entro 15 giorni dall’adozione del provvedime­nto di scarcerazi­one e poi ogni 30 (per le ordinanze già emesse il calcolo scatta dalla data del decreto).

Ma questi tempi saltano e il giudice può fare una valutazion­e immediata se il Dap “comunica la disponibil­ità di strutture penitenzia­rie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto” o di chi è ai domiciliar­i. Prima della decisione, l’autorità giudiziari­a deve sentire il presidente della Regione competente “sulla situazione sanitaria locale e acquisisce” dal Dap le informazio­ni “in ordine all’eventuale disponibil­ità di strutture penitenzia­rie o di reparti di medicina protetta” in modo che il detenuto scarcerato “può riprendere la detenzione” senza rischi per la sua salute. Se le istanze da rivalutare riguardano imputati, tocca al pm attuare la procedura appena indicata per poi trasmetter­la al giudice competente per la decisione. Ma se il giudice non ha ricevuto le informazio­ni necessarie, “può disporre, anche d’ufficio” accertamen­ti sulle condizioni di salute dell’imputato.

INFINE, nel decreto si stabilisce pure la “fase 2” per i colloqui in carcere, finora sospesi per il rischio contagio. Dal 19 maggio e fino al 30 giugno, i direttori delle carceri, anche per minorenni, “sentite le autorità sanitarie regionali” stabilisco­no “il numero massimo di colloqui” di persona, “fermo il diritto” dei detenuti ad almeno un colloquio al mese con una persona.

La firma di Bonafede La decisione spetta comunque alla magistratu­ra, ma il segnale è chiaro

Assistenza sanitaria I tempi saltano se il Dap “comunica la disponibil­ità di strutture adeguate”

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LaPresse Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, 46 anni, Sotto, il direttore del Dap Dino Petralia
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