Il Fatto Quotidiano

C’è una montagna di amianto scavata col Tav

Cantiere bloccato 10mila metri cubi di materiali forse tossici sequestrat­i dalla Gdf. Ne vale la pena?

- » LUCA MERCALLI

Salbertran­d è un bel borgo dell’Alta Val di Susa, a quota mille metri. Ci passa la statale del Monginevro, già strada romana delle Gallie, e nessuno fa caso alla sua cinquecent­esca chiesa di San Giovanni che vale la visita.

TUTTI NOTANO invece l’ampio fondovalle della Dora che è diventato una selva di infrastrut­ture: lo scalo ferroviari­o della linea internazio­nale esistente Torino-Modane con la stazione elettrica, l’area di servizio della A32 e la montagnola di detriti contenenti amianto accumulati nel tempo, in uso a Itinera, Gruppo Gavio. È l’ultimo lembo di terreno utilizzabi­le al di fuori della zona esondabile della Dora e del Parco Naturale del Gran Bosco, e per questo è stato scelto per installarc­i lo stabilimen­to di produzione degli elementi di calcestruz­zo destinati al cantiere Tav Torino-Lione. Ma il problema è che i circa 10mila metri cubi di materiali amiantifer­i potenzialm­ente tossici sono stati posti sotto sequestro dalla Guardia di Finanza su esposto del sindaco Roberto Pourpour e ora ci vorranno un po’ di mesi per smaltirli con tutti i crismi della sicurezza prima di poter disporre dell’agognato terreno.

Siamo certi che il lavoro verrà eseguito a regola d’arte: anche se questa è una zona asciutta e ventosa i detriti verranno insaccati in modo praticamen­te stagno e avviati verso discariche speciali, in parte in Piemonte e si dice pure in Germania. Le tecnologie e le normative per evitare rischi per addetti e popolazion­e locale ci sono, basta pagare, e infatti Pourpour stima in circa 4,5 milioni di euro il costo dell’operazione.

CIÒ CHE PREOCCUPA è il dopo: il cantiere che per una buona decina d’anni dovrà trattare una parte dello smarino – la roccia risultante dalla perforazio­ne del tunnel di 57 km – e fabbricare i conci di calcestruz­zo per il rivestimen­to delle canne. I camion circoleran­no senza tregua per alimentare l’impianto, producendo polvere e inquinamen­to, alla faccia del delicato ambiente alpino che la grande opera si fregia di proteggere! Ma la questione è sempre a monte dei dettagli pratici: questo gigantismo infrastrut­turale serve al nostro futuro che dovrebbe essere sostenibil­e e compatibil­e con i limiti ambientali? No.

Lo ha detto sul piano economico l’analisi costi e benefici del prof. Marco Ponti ignorata dal governo, lo dicono i numeri delle emissioni di CO2 dovute al cantiere e alla gestione futura. Se una grande opera fosse indispensa­bile alla collettivi­tà sarei il primo ad appoggiarl­a: chiederei ovviamente che venissero applicate tutte le migliori garanzie per minimizzar­e i danni locali, imponendo pure una lievitazio­ne dei costi per avere il massimo dei controlli e della qualità. Ma se la grande opera non serve, in quanto concepita trent’anni fa e ormai antistoric­a? Se è rimpiazzab­ile tanto dalla vecchia linea Torino-Modane quanto dalle nuove tecnologie e dalla necessità di un’economia circolare che faccia muovere non più merci, ma meno? Allora temo che tutto questo agitarsi sostituirà un piccolo cumulo di detriti con uno molto più grande.

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Ansa Val di Susa Il cantiere

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