Il Fatto Quotidiano

Passeggiat­a notturna nella città deserta

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Puoi percorrere tutto il viale, con il tuo cane nero accanto, non c’è niente di male. Duecento metri fino allo stadio. Questo gigante immobile dalla corazza crepata di cemento, a strati, svuotato, privo di persone, urla e illusioni. Di lato, a suo ipotetico notturno guardiano, l’a l be rg o mostra tutti i suoi occhi spenti. Ben squadrati e allineati. Solo l’insegna è malinconic­a, una lettera che sfrigola si sottrae al disegno. Il bar, insaccato sotto gli spalti, è chiuso; non si incontrano le solitudini di sempre. È tutto strano. Ora la solitudine è di tutti, nella notte solare e nel giorno lunatico, non la si scambia al parcheggio o al bancone, neppure al tavolino; manca il suono stridulo dei freni, violini meccanici per ogni frenica inchiodata. Sedie e tavolini, anche loro, si sono ritirati con disciplina ordinata nei metri quadrati delle case, a vigilare la propria esistenza e quella d’altri. Il televisore, da ogni dove, lampeggia senza un suono definito vicino all’indefinito delle attese noiose. Puoi tornare indietro, costeggiar­e gli alberi di già verdi di foglie, che sono i soli vincitori, anche se il cane piscia su uno di loro, come sempre. A volte lui abbaia al niente dell’asfalto abbandonat­o. Pipistrell­i svolazzano a zig zag ubriachi di tanto spazio; non fanno paura. Siamo noi che facciamo paura a noi stessi. Puoi camminare in mezzo alla strada, le auto ora sono inutili, nella dritta prateria nera.Puoi tornare a casa, il tempo è indefinito, anche il cane è d’accordo. Gli uccelli volano liberi da sempre, mentre apri il cancellett­o dell’antica e nuova prigione a più stanze, con tante voci confuse, sole. ROBERTO AMATO

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