“Bene il dl Bonafede: liberare i boss è come dimenticare le stragi”
Intervista al procuratore aggiunto di Firenze
Il decreto antiscarcerazioni dei mafiosi “è opportuno. Non dobbiamo mai dimenticarci delle stragi mafiose, dei lutti, delle vittime”. A parlare con Il Fatto è Luca Tescaroli, attuale procuratore aggiunto di Firenze, prima pm a Roma. Negli Anni 90 tra i giovani magistrati che volle andare nella frontiera antimafia, in Sicilia. A Caltanissetta è stato pm del processo per la strage di Capaci. Fu tra i primi, con l’inchiesta “sistemi cr im in al i” a capire che le bombe del ’92-’93 avevano dietro non solo Cosa Nostra, ma pezzi deviati dello Stato: “Non dobbiamo dimenticare le stragi - prosegue - perché bisogna ricordare il pericolo per la democrazia che è la mafia. Ricordo che, con riferimento alle bombe del 1993, il presidente del Consiglio (Carlo Azeglio Ciampi, ndr) disse di aver avuto paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato”.
Perché il decreto anti scarcerazioni le fa venire in mente quegli anni tragici? Perché c’è sempre un rischio di rimozione, di disattenzione. Perché il silenzio costituisce l’ossigeno vitale in virtù del quale i sistemi criminali mafiosi si riorganizzano e si rafforzano, con la conseguenza per tutti di diventare un po’ meno liberi. Soprattutto fa dimenticare il grave pericolo che rappresenta la mafia per la tenuta dello Stato e ciò può indurre a interpretazioni giurisprudenziali che vanno incontro ad aspettative dei mafiosi, pur essendo dettate da sentimenti umanitari, anche alla luce della pandemia che stiamo attraversando”.
Cosa significano per lei le scarcerazioni, gli arresti domiciliari concessi dai giudici a detenuti per mafia, in questi due mesi di emergenza coronavirus? Penso alle vittime, a chi ha accusato quelle persone e se le ritrova nel suo territorio. Il loro ritorno può riaffermare la forza della criminalità mafiosa e può dare l’impressione di una concessione da parte dello Stato. Questo dovrebbe tenere a mente chi è chiamato a prendere decisioni.
Quindi lei sta criticando le ordinanze dei giudici che hanno preso quei provvedimenti...
Lo spirito di servizio mi impone il massimo rispetto delle decisioni di ciascun magistrato. Occorre avere una sensibilità a ogni livello, non si può attribuire la responsabilità a quel giudice o a quell’altro, ma a un sistema. Il sistema penitenziario deve essere efficace per tutelare le garanzie dei cittadini, soprattutto di quelli che sono esposti alle aggressioni mafiose. Non si può dimenticare la peculiarità della mafia altrimenti si rischia, ribadisco, che la mafia ottenga quello che voleva , a suon di bombe, nel ‘92-‘93. Il governo con questo decreto ha detto proprio questo, pur rispettando doverosamente l’autonomia dei magistrati che sempre saranno chiamati a decidere sulla base di tutte le informazioni.
Quindi trova necessario il decreto che prevede una rivalutazione delle ordinanze anche sulla base di indicazioni del Dap su possibili strutture sanitarie del circuito penitenziario dove far stare i detenuti malati?
A me è parso opportuno, fermo restando la libertà di scelta della classe politica.
Cosa pensa delle accuse al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di essere responsabile di quelle scarcerazioni?
Preferisco al riguardo non prendere posizione perché non mi compete, la sua domanda esula da valutazioni tecniche, le uniche che può fare il magistrato. Dico, però, che contano le iniziative. Prima del decreto di sabato, ce n’è stato un altro, a fine aprile, sempre su proposta di Bonafede, sulle istanze di detenuti mafiosi ( o loro “gregari”): è obbligatorio il parere della Direzione nazionale e delle direzioni distrettuali antimafia. Cosa ne pensa?
È estremamente utile, per i giudici che devono decidere, disporre delle informazioni che derivano da chi ha il polso della situazione. Dispongono in questo modo di risultanze specifiche sui detenuti per mafia che presentano istanze, frutto di processi o di indagini in corso. La mafia è e deve essere considerata emergenza principale del nostro Paese.
Il ministro Bonafede ha dovuto rispondere alle Camere sulla mancata nomina al Dap del pm antimafia Nino Di Matteo, nel giugno 2018, dopo che il magistrato lo ha detto in tv. Che idea si è fatto?
Non ho elementi per dire alcunché sul ministro e non mi compete. Conosco da molti anni Di Matteo (hanno lavorato insieme a Caltanissetta, ndr) e mi riferì nel 2018 esattamente ciò che ha detto nei giorni scorsi (il ministro mi propose di scegliere tra capo Dap e affari penali del ministero, ma il giorno dopo mi disse che mi preferiva al ministero, che rifiutai perché avevo scelto il Dap, ndr). Le polemiche, però, favoriscono Cosa Nostra e bisogna sempre evitarle. Sono convinto, come Giovanni Falcone, che il contrasto alla mafia non ha un colore politico, ci deve essere una unità di intenti proiettata a contrastarla sempre e comunque.
Decreto opportuno, il ritorno dei mafiosi sul territorio può dare l’impressione di una concessione dello Stato
Per i giudici che devono decidere, è fondamentale avere informazioni da chi ha il polso della situazione