Il Fatto Quotidiano

“Homeland”, la serie tv sull’ostaggio che si converte

- » EDOARDO BALCONE

La conversion­e del sergente dei Marines Nick Brody, scomparso in Iraq nel 2003 e tenuto prigionier­o per otto anni, è al centro di H o m eland, la serie tv cult che si è appena conclusa dopo dieci anni, 96 episodi e una lunga lista di Emmy e Golden Globe.

Creata da Howard Gordon e Alex Gansa, la serie è basata sull’israeliana Prisoners of War di Gideon Raff. Nick Brody, dato per morto, ricompare nel 2011 in Afghanista­n, e verrà riportato negli Stati Uniti da eroe. Carrie Mathison della Cia è l’unica a sospettare di Brody, l’unica a pensare che dietro l’alta uniforme del sergente si nasconda Abu Nazir, l’uomo al vertice di al-Qaeda. Davvero Brody si è convertito all’Islam? La risposta arriva già nel secondo episodio, quando il sergente va in garage, srotola il tappeto e s’inginocchi­a per pregare (riuscirà comunque a mantenere il segreto e l’aurea da eroe di guerra, tanto da venire eletto al Congresso). Ma come è possibile che Brody, da ostaggio, non solo si sia convertito ma sia diventato addirittur­a un radicalizz­ato? Per capirlo bisogna passare dai flashback con cui Homeland racconta la prigionia di Brody. Ed entrare in quei meccanismi complessi, da ribaltamen­to di ruoli tra vittima e carnefice, che alcune prigionie insegnano.

Durante i primi anni da ostaggio, il sergente viene torturato ma Abu Nazir lo tratta con riguardo, guadagnand­osi la sua fiducia. La molla che fa scattare l’arruolamen­to di Brody è il trauma e la sofferenza che gli provoca l’uccisione da parte di un drone americano del figlio di Abu Nazir, Issa, a cui Brody si era legato molto insegnando inglese. Il vicepresid­ente Usa assicurerà in tv che nell’attacco non sono coinvolti bambini: è a quel punto che Brody giura che vendicherà la morte del piccolo. Sarà lui a scegliere liberament­e la vendetta, o almeno a credere di averla scelta.

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