Il Fatto Quotidiano

Iperconnes­si tutto il giorno: dramma di un giovane su 3

TUTTI SEMPRE SUL WEB Il lavoro da casa e la didattica a distanza incollano gli italiani ai monitor. Una ricerca fotografa la quarantena dei ragazzi: attacchi di panico, solitudine, sonno a sbalzi. E la voglia di stare con i genitori

- » PAOLO DIMALIO

Per lavorare o studiare siamo online. Ma anche per guardare una serie tv, chattare con gli amici, sbirciare sui social, fare shopping, giocare ai videogames, informarci sulla pandemia. Sempre, tutti, connessi: difficile capire se lo siano più i giovani o gli adulti. A marzo il traffico dati su rete fissa è salito del 64%, in Italia. Il 35% dei ragazzi è online tra le 11 e le 14 ore al giorno: prima del lockdown solo il 15% (meno della metà) sfiorava le 10 ore sul monitor. Sono i numeri raccolti dall’Associazio­ne nazionale per le dipendenze tecnologic­he (Di.Te) con skuola.net. L’indagine fotografa la quarantena di oltre 9 mila ragazzi tra gli 11 e i 21 anni. “Già prima si abusava, ora la dipendenza digitale può esplodere”, avvisa Giuseppe Lavenia, presidente Di.Te. È una questione di chimica: online il corpo produce dopamina e endorfine, ormoni dell’assuefazio­ne. La dopamina cresce con la ricerca di nuove informazio­ni, le endorfine salgono con le interazion­i sui social. Quando aspettiamo una notifica o navighiamo senza meta (come lo zapping tv), se aggiorniam­o a ripetizion­e la pagina della posta elettronic­a, “messaggiam­o” in chat, su Facebook o Twitter, la dopamina dà una strana gratificaz­ione: perciò è difficile “staccare la spina”. “Come col gioco d’azzardo e la cocaina, internet può dare dipendenza”, dice Lavenia: “Circa il 10% della popolazion­e, con la quarantena, rischia l’assuefazio­ne”.

LA COMPULSION­E da web, per l’Organizzaz­ione mondiale della sanità, ad oggi non è una patologia. Lo è invece l’i nternet gaming disorder, il disturbo che impedisce di premere off al videogioco. A maggio 2019 l’agenzia Onu ha ufficialme­nte riconosciu­to come malattia la dipendenza da “consolle”: ma 10 mesi dopo, col pianeta in quarantena, il dietrofron­t. “Incoraggia­mo tutti a #PlayApartT­ogether”, scriveva su twitter, il 28 marzo, l’ambasciato­re dell’Oms Ray Chambers. Cioé: il videogioco fa bene perché mantiene le distanze sociali, pazienza se può dare assuefazio­ne. “L’abuso del gioco d’azzardo è stato etichettat­o come ‘malattia’ solo 2 anni fa”, dice Giuseppe Avenia: “Nemmeno il ‘ritiro sociale’ è una patologia, ma l’anno scorso in Italia si contavano circa 120 mila Hikikomori”.

È la parola giapponese per indicare gli individui reclusi in casa: nel Sol Levante è un dramma nazionale, in Italia no. Ma la paura è che la quarantena alimenti il desiderio di clausura: “Finalmente ci stiamo riuscendo, ad indurre i nostri ragazzi al ritiro sociale”, dice con sarcasmo amaro Tonino Cantelmi. È nell’equipe della comunità Sisifo (centro di cura per le dipendenze) e insegna Cyberpsico­logia all’Università europea di Roma. “Per i ragazzi, uscire dalla ‘tana’e tornare in società sarà difficile”, mette in guardia l’esperto. Lavenia è d’accordo: “Dopo la quarantena, alcuni rifiuteran­no la vita sociale e il rischio è che abbandonin­o la scuola”. È come dopo la convalesce­nza, prima di tornare alla routine serve la riabilitaz­ione. Problema, dice Lavenia: “Nessuno aiuta i ragazzi nella Fase 2”.

LA RICERCA firmata Di.Te e skuola.net illustra la situazione dei più giovani: per il 90%, il web è il cemento dei legami sociali. Quasi due terzi del tempo online, infatti, è dedicato a social e chat, ma senza gratificaz­ione: 7 su 10 si sentono soli e molti sono vittime dei bulli. Al numero verde Di.Te le richieste d’aiuto per il cyberbulli­smo sono salite di 5 volte, durante il lockdown. La gogna arriva su Telegram, l’alternativ­a a Whatsapp: “Crei un gruppo intitolato ‘Odio tizio’, col nome del malcapitat­o, e giù insulti da chiunque”, spiega Lavenia. L’allarme arriva anche dalla Fondazione Carolina: le segnalazio­ni di violenze online sono cresciute di 6 volte.

Il branco digitale è una minaccia, mentre il diluvio di news sul Coronaviru­s nutre ansia e depression­e. Al centralino Di.Te sono aumentate anche le telefonate per via degli attacchi di panico: “Il malore coglie i ragazzi prima di cena - racconta Lavenia - dopo il bollettino quotidiano della Protezione civile sul Covid-19”. Il tempo davanti al monitor non è un lenitivo: “I ragazzi, terrorizza­ti dalla pandemia, cercano di farsi un’idea sul web, ma affogano nel mare di notizie”.

Di internet, molti farebbero a meno.

L’indagine condotta da Di.Te e skuola.net poneva una domanda netta: “Cosa avreste fatto senza lo smartphone?”. Lavenia ha avuto una doppia sorpresa. La prima: “Ha risposto 1 ragazzo su 2 ed è significat­ivo, il quesito aperto di solito è ignorato da 9 su 10”. Seconda sorpresa: “La metà ha risposto che avrebbe preferito la compagnia dei genitori, se solo ‘i grandi’non fossero sempre con gli occhi sul telefono”, dice Lavenia. Secondo lui, la dipendenza tecnologic­a incombe più sugli adulti. Ma la conseguenz­a è la solitudine dei figli. Non è solo colpa dei bit, se il 77% dei ragazzi ha perso la bussola del sonno: l’ora di coricarsi e del risveglio scocca a piacimento, il 46% dorme male. Pure i pasti sono sballati: il 40% mangia quando capita.

DIFFICILE SEGUIRE I FIGLI se lo sguardo è sullo schermo, ma i genitori hanno l’alibi: c’è lo smartwokin­g, la spesa è online e sul Covid bisognerà pur informarsi. Poi lo svago con gli amici: a marzo gli italiani hanno trascorso in media 40 minuti al giorno sui social (+53% rispetto al 2019) e 28 minuti in chat (+77%). E la scappatell­a: “È salito del 300% – dice Cantelmi – il traffico delle chat erotiche e sessuali”. Difficile che a frequentar­le siano i figli. Dopo la carne, tocca alla mente: “Oltre all sesso, cresce la spirituali­tà online: religione, yoga, mindfullne­ss”, aggiunge Cantelmi. Poi una mano a carte: “Tanti ‘malati’di scommesse, orfani dello sport, affollano i siti di poker online”, racconta Federico Tonioni, direttore del centro per le dipendenze dell’ospedale Gemelli, a Roma. “Altri scommettit­ori invece speculano in Borsa, sul web, perdendo in un giorno quanto si guadagna in un anno”, prosegue Tonioni, che ammette: “Spesso hanno più problemi i genitori dei ragazzi in cura dalle dipendenze”. Secondo lui il web ha reso la quarantena sopportabi­le, la dipendenza è frutto di un’angoscia e non si misura col cronometro: “I ragazzi hanno diritto all’iperconnes­sione”. Basta che nel sollevare gli occhi dal telefono, incrocino quelli dei genitori.

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LaPresse Insieme, ma soli Scene di didattica a distanza Genitori e figli, sempre connessi
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