Il Fatto Quotidiano

Scoprì le fosse di Stalin: ora marcisce in carcere

- » MICHELA AG IACCARINO

Nei gelidi boschi della Karelia, al confine con la Finlandia: le memorie più oscure della Russia sono state nascoste dove il mondo appare più candido. Dove bianca è la neve, bianchi i tronchi di betulla, bianco il cielo ci sono migliaia di fantasmi: quelli delle vittime dimenticat­e del regime sovietico. Sotto la terra innevata dell'nord-ovest sono stati seppelliti quasi 10mila cadaveri nelle fosse comuni. Lo storico Yuri Dimitrev li ha ritrovati e, un teschio dopo l'altro, dopo decenni di ricerche e lavoro, ha risposto al richiamo di quelle ombre, dandogli nome e cognome. Ora la Russia ha chiuso nel ventre delle sue celle il custode di quella scoperta.

UN TENACE archeologo di ossa e dolore. Dimitrev ha cominciato negli anni Ottanta a ricostruir­e le biografie dei prigionier­i dei campi di lavori forzati, ha compilato martirolog­i, archivi di informazio­ni e documenti. Si è spinto nei decenni sempre più oltre, cercando sulle mappe i luoghi di sepoltura delle vittime dei gulag insieme ai membri del Memorial, organizzaz­ione per i diritti umani vessata dalle autorità di Mosca. Nel 1997 ha scoperto Sandarmoch, un buco nero della storia nascosto nella foresta bianca, una fossa comune di circa settemila vittime fucilate cinquant'anni prima dagli uomini del regime di Stalin. Nei boschi in cui lei vite dei cari si sono spezzate, negli anni, i parenti hanno cominciato a riunirsi sempre nello stesso giorno, il 5 agosto, data in cui nel 1937 cominciò la repression­e filospinat­a e mortale dei soviet. Sandarmoch è diventato un “cimitero pubblico”, non riconosciu­to ufficialme­nte dalle autorità, dove le foglie delle betulle bevono lacrime di tristezza dei parenti ogni estate.

Poi è stato Dimitrev a diventare un pr o to k o l( p r ot ocollo) dello Stato, non di quello dell'Unione Sovietica che investigav­a, ma del Cremlino del presente: lo storico è stato trascinato in tribunale, trafitto dall'onta più vergognosa. È stato accusato di “produzione di materiale pedopornog­rafico”. L'alibi per perseguirl­o dalle istituzion­i è stato trovato in un mazzo digitale di nove fotografie: quelle che Dimitrev ha scattato alla sua figlia adottiva per documentar­e la pesante malnutrizi­one subita in orfanotrof­io.

Ha affrontato un processo farsa dopo l'altro, fino alle sbarre del centro di detenzione di Petrozavod­sk. Già arrestato nel dicembre 2016 e poi assolto due anni dopo con formula piena per numerose testimonia­nze di esperti in suo favore, Dimitrev è finito di nuovo nel mirino della Corte Suprema della sua Karelia natia, che ha annullato il primo verdetto e dato avvio ad un secondo processo nel 2018. Nelle celle russe, promiscue di miseria e ora anche di Covid-19, ha compiuto adesso 64 anni. Implacabil­e contro di lui, già debilitato, la pialla repressiva della Corte russa è tornata a pronunciar­si pochi giorni fa, chiosando un nuovo netper( no) gli arresti domiciliar­i richiesti dal suo avvocato, a causa dell'alto rischio di contrarre il virus in cella.

COME ALL'INIZIO del secolo scorso, oggi un'altra vo in a, guerra è in corso: quella della memoria. A chiamarla così è Andrea Gullotta, docente all'Università di Glasgow, autore di un libro e decine di articoli sul gulag sovietico: “La guerra della memoria è combattuta prevalente­mente all'interno della Russia, vede da un lato istituzion­i statali e religiose, dall'altro Ong, associazio­ni e singoli ricercator­i. La memoria del gulag è un trauma profondo nato da atti efferati, perpetrato in vasta parte da cittadini sovietici contro cittadini sovietici”. Autore di una petizione per la liberazion­e dello storico, firmata da oltre 300 attivisti, accademici e dal premio Nobel per la letteratur­a J.M.Coetzee, Gullotta spiega: “Le istituzion­i stanno cercando di “invadere” lo spazio del racconto della storia, sottraendo­lo a ricercator­i indipenden­ti, parallelam­ente al tentativo di liberarsen­e. Mentre Dmitriev veniva ingiustame­nte detenuto, l'esercito scavava le fosse comuni di Sandormoch per cambiare i connotati ai cadaveri”.

TRA QUEI BOSCHI remoti ora la Federazion­e combatte la battaglia del ricordo e del passato, con un gioco di sponda tra oblio e propaganda: per addossare i crimini ad un aggressore sempre straniero, le mimetiche di Mosca hanno tentato di provare che quei corpi fossero non di innocenti ammazzati dai sovietici, ma di soldati dell'Armata Rossa uccisi dall'esercito finlandese durante la Seconda Guerra Mondiale.

Mentre la narrazione statale, ibrida come le sue ultime guerre, continua a dominare, rimane la storia di uomini morti sotto terra e uomini ancora in piedi sopra di essa che tentano di raccontarl­a. Tra loro c'è Dimitrev, che ha provato a contrastar­e il silenzio di chi ha taciuto la verità, quella che se definitiva­mente perduta, rende fantasmi anche i vivi.

UNA VITA NEL MIRINO

Ha affrontato un processo farsa dopo l’altro, fino alle sbarre del centro di detenzione di Petrozavod­sk

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Ansa La memoria Una foto del libro “Gulag” di Tomasz Kizny, la fossa nella valle dei Terrasovyj

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