Il Fatto Quotidiano

Ora salvare le bibliotech­e: terapia intensiva dello spirito

L’appello rivolto a Franceschi­ni perché faccia ripartire un settore fondamenta­le per la nostra cultura

- » TOMASO MONTANARI

“Fondare bibliotech­e è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”. La celebre metafora scelta dall’Adriano di Marguerite Yourcenar è ancora forse la più potente, tra quelle immaginate nel secondo dopoguerra ( le Memorie di Adria

no escono nel 1951) per spiegare il nesso tra libri pubblici e futuro: le bibliotech­e come cibo comune contro la comune carestia spirituale, come vaccino contro l’ep i de mi a dell’ignoranza e dunque contro il ritorno di guerre e fascismi. Potremmo domandarci se tra le cause del perdurare dell’inverno del nostro scontento che da decenni congela ed estingue la nostra comune umanità non ci sia anche la nostra incapacità di fare come Adriano: tanto più inescusabi­le quando si rammenti che a noi non era chiesto di fondare nuove bibliotech­e, ma ‘solo’di non far morire quelle che i nostri padri ci hanno lasciato come seme di futuro. Ebbene, in questi giorni lentamente riaprono le bibliotech­e pubbliche italiane: dopo una chiusura che non ha sollevato i lamenti suscitati non dico da quella dei ristoranti, ma nemmeno da quella dei musei. Ma come li troviamo, questi granai dello spirito, ora che possiamo vederli con occhi nuovi? La risposta più consapevol­e (e dunque più preoccupat­a) viene da un bellissimo editoriale appena apparso sulla rivista Culture del testo e del do

cumento , firmato da Attilio Mauro Caproni, già biblioteca­rio alla Nazionale di Roma, ordinario di Bibliograf­ia e fondatore del primo dottorato italiano in Scienze Bibliograf­iche (a Udine). È una garbatissi­ma lettera aperta al ministro Franceschi­ni: “Signor Ministro, non prova un forte senso di imbarazzo, forse vergogna (mi scusi per questa espression­e così forte), e di disagio nel vivere (e amministra­re) uno Stato dove le bibliotech­e sono relegate in uno squallido parterre?”. Il rosario di afflizioni snocciolat­o da Caproni è lungo, e puntuale. Eccone alcuni grani: “Mancanza direi pressoché assoluta di fondi finanziari per le acquisizio­ni di materiali librari e documentar­i, con danni evidenti per incremento e continuazi­one delle collezioni bibliograf­iche; mancanza, a volte (e molto spesso), di direttori effettivi muniti di una ferma preparazio­ne culturale e managerial­e; penuria grave delle unità dei biblioteca­ri e del personale pertinente in un numero che sia almeno sufficient­e per il funzioname­nto corretto degli istituti librari, e per fare fronte, con dignità, alle esigenze dei lettori; disordine amministra­tivo della pertinenza delle bibliotech­e assegnate a direzioni ministeria­li diverse, oppure accorpamen­to di bibliotech­e a Soprintend­enze o Poli museali …; mortificaz­ione delle alte competenze di alcuni gloriosi istituti (che hanno rappresent­ato, da sempre, un'eccellenza italiana); vetustà delle strutture edilizie ormai fatiscenti; una scarsa o una inadeguata informatiz­zazione delle procedure biblioteco­nomiche e bibliograf­iche; … mancanza per i lettori appartenen­ti alle classi culturalme­nte povere di una didattica per l'uso di una biblioteca”. È il racconto di una disfatta: noi quei granai li stiamo dando alle fiamme, per incuria e ignoranza. Nel 2016, esattament­e per queste ragioni, si dimise in blocco il Comitato tecnico scientific­o delle Bibliotech­e del Mibact: ma, dopo le parole di circostanz­a del ministro Franceschi­ni, nulla è successo. Venerdì scorso il Consiglio Superiore dei Beni culturali ha indirizzat­o al ministro un documento con le ‘Osservazio­ni e proposte su ll ’ emergenza sanitaria e sulla ripresa’ in cui si ribadisce con forza la “necessità di assumere archivisti e biblioteca­ri, che ricostitui­scano quel ‘ capitale sociale’ di competenze e profession­alità che ormai si stanno completame­nte perdendo ( se i dati sul 2020 erano già allarmanti, quelli sul

2021 disegnano un punto di definitivo non ritorno)”. Il Consiglio (del quale chi scrive fa parte) dice a

F r an c e s c hi n i che solo una massiccia campagna di assunzioni a tempo i n d e t e rm i n a t o consentirà “di produrre conoscenza solida, seria, affidabile: un’operazione governata dal ministero che ricadrà positivame­nte anche sulle attività dei musei e degli altri luoghi della cultura, anch’esse da ridisegnar­e nel senso del potenziame­nto della ricerca e dell’approfondi­mento di temi rilevanti per la comunità nazionale e per le collettivi­tà locali”. La morale è assai semplice: l’inverno inaspettat­o del Covid ci ha fatto capire che abbiamo bisogno di letti in terapia intensiva e di medici e infermieri assunti dallo Stato e ben pagati. E, al tempo stesso, anche di quei reparti di terapia intensiva spirituale che sono le bibliotech­e, dove l’ossigeno della conoscenza è offerto a tutti, anche a chi a casa (quella casa che nel confinamen­to è diventata cifra e rappresent­azione delle diseguagli­anze mostruose che abbiamo creato) non ha libri, cioè appunto ossigeno. La conclusion­e di Caproni è semplice, e inappellab­ile: “Signor Ministro, Lei ha il compito … di rispettare i cittadini italiani”. Proprio questo è il punto: se le bibliotech­e muoiono non saremo né cittadini né italiani, ma sudditi senza storia e senza futuro. Vogliamo davvero ripartire? Allora ripartiamo dalle bibliotech­e.

Signor Ministro, non prova un forte imbarazzo, forse vergogna e disagio nel vivere (e amministra­re) in uno Stato dove le nostre bibliotech­e sono come relegate in uno squallido parterre?

ATTILIO M. CAPRONI Malattia cronica Mancano fondi, personale e direttori competenti per far funzionare le istituzion­i librarie

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La biblioteca dei Girolamini a Napoli e quella del palazzo Reale di Torino, residenza dei Savoia
Ansa Tra gli scaffali La biblioteca dei Girolamini a Napoli e quella del palazzo Reale di Torino, residenza dei Savoia
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