Il Fatto Quotidiano

Il tampone immaginari­o “Io, 30 giorni positiva, e il mio ragazzo al lavoro senza test”

- » SELVAGGIA LUCARELLI

CARA SELVAGGIA, sono un’infermiera di pronto soccorso presso un ospedale in provincia di Milano, positiva al Covid ormai dal 17 marzo. Non ti scrivo per lamentarmi del mio caso. Rispetto a tante altre persone che stanno peggio (anche dal punto di vista economico) posso dire che, pure nella sfortuna, io sia stata piuttosto fortunata. Dipendente statale, a casa come infortunio e non in malattia: fisicament­e in salute, a parte ilCovid. Ti scrivo invece per lanciare un monito, per far sapere che io (e chissà quanti altri come me) dopo 30 giorni di quarantena risulto ancora positiva al virus, e chissà per quanto tempo ancora. Questo dimostra che i cittadini devono essere “tamponati” prima di rientrare in sicurezza al proprio posto di lavoro!

Convivo col mio ragazzo, anche lui in isolamento per aver avuto contatti con me. Giovedì è terminata la sua seconda quarantena e l’Ats gli ha dato il permesso di rientrare al lavoro. Lui si occupa di impianti di riscaldame­nto e, fortunatam­ente, quella che deve svolgere in questi giorni è una mansione che non prevede contatti con i clienti. Ma com'è possibile che lui possa tornare al lavoro dopo un così prolungato contatto con una positiva senza effettuare nessun controllo? Ho cercato di andare a fondo alla cosa, consultand­omi con diversi colleghi medici, e sono stata invitata a sollecitar­e l’Ats affinché non permettess­e il rientro al lavoro del mio compagno. Dopo diverse chiamate riesco finalmente a confrontar­mi con una dottoressa, la quale sostiene che il mio ragazzo avrebbe invece dovuto proseguire la quarantena, e così dispone. Com'è possibile, quindi, che anche questa scelta sia lasciata alla discrezion­e di un singolo operatore? È la stessa storia di un nostro amico, positivo al Covid (diagnostic­ato con esecuzione di Tac al torace), a cui dopo soli 15 giorni di quarantena hanno dato la possibilit­à di tornare a lavorare. Ma di cosa stiamo parlando? in questa maniera non ne usciremo mai! Sulla base di che cosa queste persone vengono considerat­e non contagiose e quindi possono uscire di casa, andare a far la spesa, al lavoro? Non è che pure loro sono ancora positive esattament­e come me? Una storia poco raccontata ma da prendere in grande consideraz­ione, al fine di non rendere vani i tanti sacrifici che il popolo italiano continua faticosame­nte a sostenere.

Cordiali Saluti ELISA

CARA ELISA, sulla disastrosa gestione delle diagnosi in Lombardia potremmo scrivere un tomo degno di Guerra e Pace. Purtroppo, visto che la regione non ha una linea, temo che dovremo farci tutti un tampone immaginari­o e dichiararc­i positivi fino a data da destinarsi.

“Aiuto, la quarantena uccide il futuro Ma io, senza scopo, rifiuto il presente”

Ciao Selvaggia, ti scrivo in un giorno qualunque, credo sia martedì, per dare un senso al tempo. Per poter dire, domani, che “ieri ho scritto a Selvaggia”. Fare un cerchio rosso sul calendario, per non lasciare morire l’ennesima giornata senza nota. Non ricordo quello che ho fatto ieri, nemmeno ieri l’altro. Dall’inizio della quarantena non c’è giorno che mi ricordi per un motivo che non sia, sempliceme­nte, il fatto di restare in vita. È una fortuna, a differenza di altri che purtroppo la vita l’hanno persa per errore, o sfortuna, in questa tragedia collettiva. Io non ho una compagna, sono a casa dal lavoro (ero receptioni­st in uno di quegli enormi hotel per viaggi d’affari, ti lascio immaginare) e non so quando ci tornerò, mia madre è in salute ma distante, i miei amici chiusi in casa. Una storia comune. Quindi perché ti scrivo? Perché questo sarà il giorno in cui ti ho scritto. Perché aspetterò una risposta, anche se non arriverà. Poco male, anzi meglio. Aspetterò, così i miei pensieri voleranno finalmente verso un punto lontano, nel futuro. Mi manca il futuro. Mi manca scriverlo: domani andrò a cena fuori, fra un mese sarò in vacanza, venerdì piega e colore. Invece, per la prima volta il futuro è precluso: la mia vita è sempre stata una rincorsa al futuro. Non vedevo l’ora di compiere 18 anni per andarmene da casa, lontana da un padre cattivo, che non mi ha mai accettata, morto senza rimpianti. Non vedevo l’ora di laurearmi e lavorare, anche se ora ho (avevo?) un impiego di rincalzo; ma c’era il futuro, per le ambizioni. Non vedevo l’ora di trovare la persona con cui condivider­e libertà, denaro e sogni. Non l’ho trovata, eppure fino a febbraio c’era, ben salda nel mio futuro. Il futuro è stata la molla, benzina e motore: ora non c’è più. “Tanta gente comunque ci sarà, che si accontente­rà”, cantava Vasco. Vedo gente felice, di vivere questo presente continuo, una quarantena dei sogni e delle ambizioni, più che del corpo. Io no, il presente non l’ho mai abitato, è sempre stato un acquario piccolo: il futuro era la mia bombola d’ossigeno. Adesso mi sento annegare. SIMONA

Cara Simona, non credo che il futuro sia sparito, non l’ha scalfito la peste e nemmeno l’esplosione di Hiroshima, non lo farà nemmeno questo virus. È soltanto sospeso, come un caffè che torneremo a bere al bancone del bar. Tieni duro.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy