Laguna, non solo Mose: “No ai fumi dell’inceneritore”
Venezia Il progetto di trasformare l’ex impianto di Termodistruzione chiuso nel 2014 contro cui si battono associazioni e comitati: “È inutile e dannoso”
C’è un campeggio, a Fusina, “qu esto clone di spiaggia o spiaggia virtuale o simil- spiaggia di città” ( R. Ferrucci); ci sono le zanzare, nelle scampagnate di Ferragosto, ma si vede Venezia a un palmo. Incombe, alle spalle, la grande centrale Enel a carbone che chiuderà (lo chiede l’Europa) fra tre o quattro anni; poco più in giù l’impianto di Termodistruzione rifiuti attivo dal 1998 al 2014, quando – tra promesse di palingenesi “verde" – il sindaco Orsoni lo spense, pochi mesi prima del suo arresto. Partito un anno fa, il nuovo progetto della municipalizzata Veritas spa prevede di trasformare l'impianto di Fusina in un potente inceneritore destinato a bruciare potenzialmente fino a 300 mila tonnellate di rifiuti (ramaglie e materiali legnosi, Combustibile solido secondario, fanghi e percolati essiccati) per una potenza termica massima di 67,9 megawatt. L'iter decisionale e informativo è stato in parte evasivo, sporadico il confronto critico con i comitati dei territori (i sindaci sono per la gran parte d’accordo): discussioni rinviate nel Consiglio comunale di Venezia, addirittura l’arresto (!) dell’attivista Mattia Donadel durante un contraddittorio al Consiglio di Mira tre mesi fa. Alla campagna “no inceneritore” promossa da associazioni, medici ed esperti, hanno fatto riscontro gli sms di Veritas, che ha raggiunto i cellulari dei suoi clienti non con una comunicazione di servizio ma con propaganda a sostegno dell’operazione.
LE OBIEZIONI, ora in parte recepite da una seria interrogazione parlamentare di Orietta Vanin e altri deputati del M5S, sono sostanzialmente quattro: a) con la potenza termica nominale di 67,9 megawatt la legge imporrebbe una Via nazionale, ed è solo con lo scorporo dei 20 mw derivanti dalla terza linea (che Veritas afferma di tenere come “riserva” in caso di guasto) che si cade appena sotto la soglia dei 50 mw approdando così a una – forse più “morbida”? – Via regionale, attesa a breve; b) l’aumento di capacità di combustione, a fronte di una produzione di rifiuti che rimane stabile, sarebbe un incentivo a importare materiali da altre regioni (un’intenzione sempre negata da Veritas; ma i rifiuti in arrivo per trattamento passerebbero dalle attuali 160 mila tonnellate annue a 450 mila); c) tra i fanghi contaminati da smaltire ci sarebbero anche quelli intrisi di Pfas (i letali composti chimici che hanno avvelenato le acque di mezzo Veneto), la cui combustione sprigionerebbe conseguenze imprevedibili (Veritas ribatte che anche in Svizzera i fanghi si bruciano correntemente); d) la cosa più importante: oltre al pestifero viavai dei camion che conferiranno i rifiuti, l’incinerimento stesso scaricherà nell’aria polveri, diossine, furani etc. (Veritas vanta verifiche con gli enti pubblici di controllo, e promette efficientissimi filtri), oltre a generare sovvalli, scorie e ceneri tossiche, per le quali si richiede l’autorizzazione al conferimento in discarica nella misura di 72 mila ton/anno.
A tutto ciò si aggiungono, fuori verbale, i maldipancia sul socio privato che in società con Veritas controlla la “Ecoprogetto srl" preposta alla realizzazione dell'impianto: la Finam dell’imprenditore Angelo Mandato, socio al 49% della Sesa spa, municipalizzata di Este che smaltisce anche rifiuti provenienti dal Sud e che secondo un’inchiesta di Fanpage avrebbe sversato compost inquinato nei campi della Bassa Padovana (nulla importa qui che l’antico socio Sandro Rossato, scomparso nel 2015, fosse per altro verso in affari con la 'ndrangheta).
Al fondo di tutto, c’è una scelta filosofica, che richiama le origini stesse del M5S (la battaglia di Pizzarotti a Parma, per dirne una): qui s'intende incenerire molte tonnellate di rifiuti e fanghi, argomentando che solo così si può raggiungere l’autonomia nella gestione del ciclo a livello locale. I comitati propongono invece di aumentare la differenziata all’80% (è ora attorno al 63, con picchi negativi nella città storica, e un indice di recupero effettivo tra i più bassi della regione) e di ridurre del 15% i rifiuti prodotti, sviluppando le filiere di recupero.
Infine, di inertizzare e confinare i fanghi e percolati contaminati da Pfas. Il tutto per allentare le emissioni da effetto serra (quelle dirette e quelle indirette) e soprattutto salvaguardare un’area che sorge letteralmente accanto al mefitico Sin di Porto Marghera, e che ha già pagato un prezzo altissimo all’inquinamento (i pediatri lamentano alti livelli di diossina nel latte materno, e scongiurano di evitare ogni ulteriore aumento delle polveri).
IN TEMPI in cui gli sguardi sono volti altrove, ma in cui tanti immaginano un futuro diverso anche per Venezia, si gioca a Fusina una partita importante: c’è da sperare che questa punta di Laguna non svanisca nella nebbia, come in fondo a una magica veduta di William Turner (San Benedetto verso Fusina, Tate Britain, 1843).
Il sospetto Troppo potente per le esigenze del territorio “Patto per importare rifiuti dall’esterno”