Dalle Regioni dati mancanti o parziali: la Fase2 sarà al buio
Il report del ministero della Salute per la ripartenza: Lombardia ancora a rischio nonostante il lockdown
Dopodomani il governo dovrebbe avere in mano tutti i dati sull’epidemia da Covid-19 della prima settimana di “fase 2” con cui programmare le nuove riaperture a partire da lunedì. Allora è utile chiedersi: com’era l’Italia che, con tutte le limitazioni che conosciamo, è tornata in strada il 4 maggio? A stare alle schede, regione per regione, del ministero della Salute – che Il Fatto ha potuto visionare – sicuramente l’epidemia era in forte contrazione, merito soprattutto dei cittadini che hanno rispettato i divieti nel corso di due mesi, con un indice di riproduzione dei contagi mediamente attorno allo 0,5 (due malati contagiano in media una persona). Il sistema istituzionale, invece, non pare essersi organizzato per tornare alla normalità.
IN SOLDONI, nella fase 2 entreremo al buio: quasi tutte le Regioni (fanno parziale eccezione Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Provincia di Bolzano) non paiono in grado di fornire dati di sorveglianza epidemiologica completi, né di accorciare i tempi tra rilevazione dei sintomi e diagnosi della malattia nei 5 giorni limite individuati dal ministero (e, spesso, nemmeno di fornire informazioni in materia). Ovviamente quest’ultima mancanza è tanto più preoccupante quanto più sono alti i contagi: velocizzare la scoperta dei malati (e testarne i contatti) è fondamentale per bloccare nuovi focolai. E invece “non è possibile valutare” e “non disponibile” sono le due dizioni ricorrenti per tutti.
Al momento, insomma, il parametro più sicuro a disposizione pare l’impatto del virus sugli ospedali: situazione in miglioramento ovunque, anche in Lombardia, che però continua a presentare numeri oltre le soglie d’allarme, motivo per cui è l’unica Regione al 4 maggio a essere considerata a “rischio moderato”, livello a partire dal quale è consigliato andarci piano con le riaperture (tutte le altre Regioni sono ritenute a “rischio basso”). Problema: gli ospedali sono, per così dire, gli ultimi a sapere che la malattia si sta diffondendo, nel senso che ci si arriva molto dopo averla contratta.
Le schede coi dati aggiornati alla settimana tra 4 e 10 maggio decideranno, come detto, chi e come potrà anticipare le riaperture. Allora, escluso il non sorprendente giudizio sulla Lombardia, vediamo quali sono le situazioni più a rischio. Un occhio di riguardo verrà dato al Piemonte, che finora sembra seguire la dinamica lombarda con 7-10 giorni di ritardo. La regione, dice il ministero, “mostra un livello di completezza nei dati di sorveglianza non in lineacon le soglie previste per la fase di valutazione” (come la Lombardia, d’altra parte). Incompleti pure i numeri sulla tempistica sintomi/tampone, che pur parziali riportano tempi tre volte più alti della soglia limite di 5 giorni (ma la Calabria ce ne mette 24). Alta, anche se sotto-soglia, pure l’occupazione dei posti letto dopo due mesi di lockdown: il 19% di quelli in terapia intensiva (limite al 30%) e il 32% dei cosiddetti “posti Covid” (limite al 40). Anche per questo i rumors indicano che il governatore Cirio procederà assai cauto nella “fase 2”.
Situazione più tranquilla, ma sempre da monitorare, è quella della L i g ur i a , che non riesce a fornire “dati di sorveglianza” di qualità e in media (ma anche qui mancano molti numeri) riesce a fare il tampone ai sintomatici solo dopo 13 giorni: per di più la Regione di Giovanni Toti ha un indice Rt di riproduzione del virus nella parte alta della media (0,65). Questo stesso indice è invece molto basso (0,29) nelle Marche, che però ha più pazienti negli ospedali (il 22% dei posti in intensiva e il 29% di quelli Covid) ed è persino più carente nel fornire dati al ministero (“non disponibile”, ad esempio, quello sui tempi medi tra i sintomi e il test col tampone).
Un alto livello di attenzione in questa fase è necessaria anche per Toscana e Veneto, che pure sono assai più efficienti quanto a controllo e gestione dell’evoluzione dei casi sul territorio. Anche l’Emilia- Romagna pare cavarsela bene da questo punto di vista, ma al 4 maggio aveva numeri assai più alti negli ospedali: il 27% dei posti in terapia intensiva (vicina alla soglia del 30) e il 33% dei posti Covid (soglia al 40).
FIN QUI I TERRITORI su cui l’impatto del virus è stato maggiore, ma non mancano situazioni a rischio anche nel Centro-Sud, dove in generale la sorveglianza epidemiologica è più carente della media. Il Lazio, ad esempio, presenta come tutte le regioni un trend in discesa e ha pochi “positivi” in terapia intensiva ( l’ 11% dei posti totali), ma parecchi nei “letti Covid” (il 29% del totale) e soprattutto – anche se “il dato non è validato” – “sono stati captati tre focolai dal sistema di epidemic intelligence (a inizio maggio, ndr): in una casa di cura, presso una Irccs di neuroscienze e riabilitazione e in un ospedale”. Cioè i posti più pericolosi per avere un focolaio. Stessa situazione della Campania, dove il sistema ha “captato un focolaio domiciliare e uno in una Rsa”: la regione, che è inadempiente su tutti dati rilevanti, ha comunque una buona situazione negli ospedali. Vanno segnalati, infine, anche in una situazione relativamente tranquilla, gli indici di riproduzione del virus al 4 maggio in Puglia e Sicilia : 0,96 la prima e addirittura 1,12 la seconda, il più alto tra le regioni italiane.
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