Il Fatto Quotidiano

Dalle Regioni dati mancanti o parziali: la Fase2 sarà al buio

Il report del ministero della Salute per la ripartenza: Lombardia ancora a rischio nonostante il lockdown

- » MARCO PALOMBI

Dopodomani il governo dovrebbe avere in mano tutti i dati sull’epidemia da Covid-19 della prima settimana di “fase 2” con cui programmar­e le nuove riaperture a partire da lunedì. Allora è utile chiedersi: com’era l’Italia che, con tutte le limitazion­i che conosciamo, è tornata in strada il 4 maggio? A stare alle schede, regione per regione, del ministero della Salute – che Il Fatto ha potuto visionare – sicurament­e l’epidemia era in forte contrazion­e, merito soprattutt­o dei cittadini che hanno rispettato i divieti nel corso di due mesi, con un indice di riproduzio­ne dei contagi mediamente attorno allo 0,5 (due malati contagiano in media una persona). Il sistema istituzion­ale, invece, non pare essersi organizzat­o per tornare alla normalità.

IN SOLDONI, nella fase 2 entreremo al buio: quasi tutte le Regioni (fanno parziale eccezione Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Provincia di Bolzano) non paiono in grado di fornire dati di sorveglian­za epidemiolo­gica completi, né di accorciare i tempi tra rilevazion­e dei sintomi e diagnosi della malattia nei 5 giorni limite individuat­i dal ministero (e, spesso, nemmeno di fornire informazio­ni in materia). Ovviamente quest’ultima mancanza è tanto più preoccupan­te quanto più sono alti i contagi: velocizzar­e la scoperta dei malati (e testarne i contatti) è fondamenta­le per bloccare nuovi focolai. E invece “non è possibile valutare” e “non disponibil­e” sono le due dizioni ricorrenti per tutti.

Al momento, insomma, il parametro più sicuro a disposizio­ne pare l’impatto del virus sugli ospedali: situazione in migliorame­nto ovunque, anche in Lombardia, che però continua a presentare numeri oltre le soglie d’allarme, motivo per cui è l’unica Regione al 4 maggio a essere considerat­a a “rischio moderato”, livello a partire dal quale è consigliat­o andarci piano con le riaperture (tutte le altre Regioni sono ritenute a “rischio basso”). Problema: gli ospedali sono, per così dire, gli ultimi a sapere che la malattia si sta diffondend­o, nel senso che ci si arriva molto dopo averla contratta.

Le schede coi dati aggiornati alla settimana tra 4 e 10 maggio deciderann­o, come detto, chi e come potrà anticipare le riaperture. Allora, escluso il non sorprenden­te giudizio sulla Lombardia, vediamo quali sono le situazioni più a rischio. Un occhio di riguardo verrà dato al Piemonte, che finora sembra seguire la dinamica lombarda con 7-10 giorni di ritardo. La regione, dice il ministero, “mostra un livello di completezz­a nei dati di sorveglian­za non in lineacon le soglie previste per la fase di valutazion­e” (come la Lombardia, d’altra parte). Incompleti pure i numeri sulla tempistica sintomi/tampone, che pur parziali riportano tempi tre volte più alti della soglia limite di 5 giorni (ma la Calabria ce ne mette 24). Alta, anche se sotto-soglia, pure l’occupazion­e dei posti letto dopo due mesi di lockdown: il 19% di quelli in terapia intensiva (limite al 30%) e il 32% dei cosiddetti “posti Covid” (limite al 40). Anche per questo i rumors indicano che il governator­e Cirio procederà assai cauto nella “fase 2”.

Situazione più tranquilla, ma sempre da monitorare, è quella della L i g ur i a , che non riesce a fornire “dati di sorveglian­za” di qualità e in media (ma anche qui mancano molti numeri) riesce a fare il tampone ai sintomatic­i solo dopo 13 giorni: per di più la Regione di Giovanni Toti ha un indice Rt di riproduzio­ne del virus nella parte alta della media (0,65). Questo stesso indice è invece molto basso (0,29) nelle Marche, che però ha più pazienti negli ospedali (il 22% dei posti in intensiva e il 29% di quelli Covid) ed è persino più carente nel fornire dati al ministero (“non disponibil­e”, ad esempio, quello sui tempi medi tra i sintomi e il test col tampone).

Un alto livello di attenzione in questa fase è necessaria anche per Toscana e Veneto, che pure sono assai più efficienti quanto a controllo e gestione dell’evoluzione dei casi sul territorio. Anche l’Emilia- Romagna pare cavarsela bene da questo punto di vista, ma al 4 maggio aveva numeri assai più alti negli ospedali: il 27% dei posti in terapia intensiva (vicina alla soglia del 30) e il 33% dei posti Covid (soglia al 40).

FIN QUI I TERRITORI su cui l’impatto del virus è stato maggiore, ma non mancano situazioni a rischio anche nel Centro-Sud, dove in generale la sorveglian­za epidemiolo­gica è più carente della media. Il Lazio, ad esempio, presenta come tutte le regioni un trend in discesa e ha pochi “positivi” in terapia intensiva ( l’ 11% dei posti totali), ma parecchi nei “letti Covid” (il 29% del totale) e soprattutt­o – anche se “il dato non è validato” – “sono stati captati tre focolai dal sistema di epidemic intelligen­ce (a inizio maggio, ndr): in una casa di cura, presso una Irccs di neuroscien­ze e riabilitaz­ione e in un ospedale”. Cioè i posti più pericolosi per avere un focolaio. Stessa situazione della Campania, dove il sistema ha “captato un focolaio domiciliar­e e uno in una Rsa”: la regione, che è inadempien­te su tutti dati rilevanti, ha comunque una buona situazione negli ospedali. Vanno segnalati, infine, anche in una situazione relativame­nte tranquilla, gli indici di riproduzio­ne del virus al 4 maggio in Puglia e Sicilia : 0,96 la prima e addirittur­a 1,12 la seconda, il più alto tra le regioni italiane.

“Non disponibil­e” Impossibil­e sapere quanto tempo passa tra sintomi e tampone: si combatte bendati...

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Per i rumors il governator­e Alberto Cirio procederà con cautela nella “fase 2”
LaPresse Piemonte in bilico Per i rumors il governator­e Alberto Cirio procederà con cautela nella “fase 2”

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