Il Fatto Quotidiano

STATO E CITTADINI SONO AVVERSARI (E IL COVID LO SA)

- » VERONICA GENTILI

La politica italiana è piena di piaghe invitanti per un dito molesto che voglia intrufolar­si: quindi per un virus importuno e ficcanaso, la piaga purulenta del rapporto tra Stato e cittadini è stata una specie d’invito a nozze. In questi giorni si è sentito parlare di deriva autoritari­a; lo spettro dei pieni poteri che dalla scorsa estate aleggia su di noi è stato di nuovo chiamato in causa; alcuni più prosaicame­nte hanno lamentato il sequestro delle proprie libertà personali. Io, personalme­nte, ritengo che l’idea che il governo se ne stia appostato dietro al Covid, puntando a fargli fare da battistrad­a verso i pieni poteri, sia una falsa pista, e che finisca per distrarre dal vero nodo della questione.

IL TEMA non è l’autoritari­smo in agguato ma la sfiducia: quella sfiducia ostinata che nel nostro Paese cittadini e istituzion­i nutrono gli uni verso le altre, e che non può che rendere irrisolto e meccanico un rapporto che per sua natura vorrebbe essere fiduciario. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un carnevale politico, in cui le istituzion­i hanno sfilato sul carro dei cittadini, mascherate da dissidenti, nel tentativo di non farsi riconoscer­e: il ministro della porta accanto, il leader politico che è “uno come noi”, il cittadino comune al potere. La diretta facebook ha sostituito la conferenza stampa o l’intervista, e i politici hanno pensato, parlando con gli elettori dalla camera da letto o da sotto l’ombrellone, di averne vinto i sospetti e di esserseli fatti amici. Ma che quei gradi di separazion­e, o sfiducia che dir si voglia, che dividono cittadini e istituzion­i, siano ancora tutti lì è apparso evidente non appena è arrivato il virus, che infatti su quella reciproca diffidenza si è subito avventato. Innanzitut­to ha smantellat­o la mistica della politica acqua e sapone, facendo tornare in auge la figura dell’uomo di governo che si assume la responsabi­lità di guidare i cittadini, perché ne sa più di loro. Che a potenziare le terapie intensive o a convincere l’Europa ad allargare i cordoni della borsa, ci sia il ministro in ciabatte della porta accanto non va a genio a nessuno. Anzi l’auspicio è che la politica sappia dove mettere le mani, e non assomigli a noi che siamo incerti e disorienta­ti. Non vogliamo un amico, vogliamo un governo. Il Covid ha reso chiara anche l’altra faccia di questa sfiducia incrociata: le istituzion­i non si fidano dei cittadini. In Italia s’intende. E a questo va attribuito un Dpcm tanto didascalic­o nei divieti e nelle raccomanda­zioni da risultare pedante: l’utilizzo ricorrente di verbi come “permettere” e “consentire” non è l’indizio linguistic­o di velleità dittatoria­li né la rivendicaz­ione di una requisizio­ne delle libertà individual­i: si tratta invece del campo semantico in cui trova spazio lo scetticism­o di un padre nei confronti di un figlio ancora troppo immaturo. È dunque giusto dire che il presidente del Consiglio ha utilizzato un tono paternalis­ta, ma ricondurre la cosa all’indole autoritari­a di Conte è una lettura decisament­e miope della questione.

LO STATO ITALIANO non si fida dei propri cittadini, cosiccome i cittadini non si fidano dello Stato. E in questa reciprocit­à risiede il segreto della longevità di questo antico dis-accordo: ciascuno, dando per scontata a volte la malafede a volte l’inadeguate­zza dell’altro, si organizza per cercare d’imbrogliar­lo, convinto che si tratti di legittima difesa. Imposizion­e ed evasione delle tasse in Italia sono i passi alternati di una stessa coreografi­a, in cui i movimenti dell’uno esistono solo in funzione di quelli dell’altro. E lo stesso vale per abusi e condoni edilizi. Fatta la legge trovato l’inganno, e in base all’inganno fatta la legge successiva: in Italia lo Stato e i cittadini non sono alleati, sono ontologica­mente avversari. È un copione che si ripete, e non c’è nessuna anomalia nel fatto che il premier abbia rispettato la tradizione. In stato di eccezione permetters­i u n’eccezione ulteriore sarebbe parso eccessivo.

MA QUALE DERIVA Abbiamo voluto il politico della porta accanto, salvo poi chiedere autorevole­zza Le istituzion­i di contro ci reputano immaturi

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