STATO E CITTADINI SONO AVVERSARI (E IL COVID LO SA)
La politica italiana è piena di piaghe invitanti per un dito molesto che voglia intrufolarsi: quindi per un virus importuno e ficcanaso, la piaga purulenta del rapporto tra Stato e cittadini è stata una specie d’invito a nozze. In questi giorni si è sentito parlare di deriva autoritaria; lo spettro dei pieni poteri che dalla scorsa estate aleggia su di noi è stato di nuovo chiamato in causa; alcuni più prosaicamente hanno lamentato il sequestro delle proprie libertà personali. Io, personalmente, ritengo che l’idea che il governo se ne stia appostato dietro al Covid, puntando a fargli fare da battistrada verso i pieni poteri, sia una falsa pista, e che finisca per distrarre dal vero nodo della questione.
IL TEMA non è l’autoritarismo in agguato ma la sfiducia: quella sfiducia ostinata che nel nostro Paese cittadini e istituzioni nutrono gli uni verso le altre, e che non può che rendere irrisolto e meccanico un rapporto che per sua natura vorrebbe essere fiduciario. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un carnevale politico, in cui le istituzioni hanno sfilato sul carro dei cittadini, mascherate da dissidenti, nel tentativo di non farsi riconoscere: il ministro della porta accanto, il leader politico che è “uno come noi”, il cittadino comune al potere. La diretta facebook ha sostituito la conferenza stampa o l’intervista, e i politici hanno pensato, parlando con gli elettori dalla camera da letto o da sotto l’ombrellone, di averne vinto i sospetti e di esserseli fatti amici. Ma che quei gradi di separazione, o sfiducia che dir si voglia, che dividono cittadini e istituzioni, siano ancora tutti lì è apparso evidente non appena è arrivato il virus, che infatti su quella reciproca diffidenza si è subito avventato. Innanzitutto ha smantellato la mistica della politica acqua e sapone, facendo tornare in auge la figura dell’uomo di governo che si assume la responsabilità di guidare i cittadini, perché ne sa più di loro. Che a potenziare le terapie intensive o a convincere l’Europa ad allargare i cordoni della borsa, ci sia il ministro in ciabatte della porta accanto non va a genio a nessuno. Anzi l’auspicio è che la politica sappia dove mettere le mani, e non assomigli a noi che siamo incerti e disorientati. Non vogliamo un amico, vogliamo un governo. Il Covid ha reso chiara anche l’altra faccia di questa sfiducia incrociata: le istituzioni non si fidano dei cittadini. In Italia s’intende. E a questo va attribuito un Dpcm tanto didascalico nei divieti e nelle raccomandazioni da risultare pedante: l’utilizzo ricorrente di verbi come “permettere” e “consentire” non è l’indizio linguistico di velleità dittatoriali né la rivendicazione di una requisizione delle libertà individuali: si tratta invece del campo semantico in cui trova spazio lo scetticismo di un padre nei confronti di un figlio ancora troppo immaturo. È dunque giusto dire che il presidente del Consiglio ha utilizzato un tono paternalista, ma ricondurre la cosa all’indole autoritaria di Conte è una lettura decisamente miope della questione.
LO STATO ITALIANO non si fida dei propri cittadini, cosiccome i cittadini non si fidano dello Stato. E in questa reciprocità risiede il segreto della longevità di questo antico dis-accordo: ciascuno, dando per scontata a volte la malafede a volte l’inadeguatezza dell’altro, si organizza per cercare d’imbrogliarlo, convinto che si tratti di legittima difesa. Imposizione ed evasione delle tasse in Italia sono i passi alternati di una stessa coreografia, in cui i movimenti dell’uno esistono solo in funzione di quelli dell’altro. E lo stesso vale per abusi e condoni edilizi. Fatta la legge trovato l’inganno, e in base all’inganno fatta la legge successiva: in Italia lo Stato e i cittadini non sono alleati, sono ontologicamente avversari. È un copione che si ripete, e non c’è nessuna anomalia nel fatto che il premier abbia rispettato la tradizione. In stato di eccezione permettersi u n’eccezione ulteriore sarebbe parso eccessivo.
MA QUALE DERIVA Abbiamo voluto il politico della porta accanto, salvo poi chiedere autorevolezza Le istituzioni di contro ci reputano immaturi