Il Fatto Quotidiano

Ilva: Mittal se ne rivà Fca: dividendo resta

GRANDI GRUPPI Prendi i soldi e scappa

- » MARCO PALOMBI

■ Il gruppo franco-indiano ricorre alla Cassa integrazio­ne senza giustifica­zione e si prepara a discutere l’indennizzo. Niente limiti per la ex Fiat: il blocco degli utili avrebbe fatto crollare il titolo

Nella vicenda Fca ci sono diversi piani su cui esercitare il giudizio: c’è il piano morale, ci sono legittime posizioni politiche che investono questioni più grandi delle garanzie statali su un prestito da 6,3 miliardi alla casa automobili­stica e c’è il minimo sindacale che va chiesto in cambio dell’uso di strumenti pubblici che assicurano un vantaggio a chi li usa. A quest’ultimo proposito, ovunque nel mondo, a partire dagli Usa, chi usufruisce di aiuti di Stato s’impegna a rispettare alcune condizioni: ad esempio il divieto di acquisizio­ni o di distribuir­e utili agli azionisti e bonus ai manager per la durata del sostegno pubblico.

IL MINISTERO del Tesoro, che deve autorizzar­e l’operazione, ha invece deciso – nonostante nel governo ci siano posizioni diverse – di non imporre nemmeno il divieto di pagare dividendi agli azionisti per i tre anni della garanzia (oggi il divieto dura 12 mesi), né il blocco della retribuzio­ne variabile del top management. Almeno in questo senso si tratta di un grosso favore (e doppio, come vedremo) a Fiat Chrysler o, meglio, ai suoi azionisti, tra cui soprattutt­o i numerosi rivoli della famiglia Agnelli che la controllan­o attraverso una finanziari­a olandese: l’anno prossimo, infatti, la holding (olandese) Exor incasserà un bell’assegno da 5,5 miliardi (sotto forma di dividendo straordina­rio) in virtù dell’accordo con Peugeot e le altre (Psa) che finirà in discreta parte, quasi 2 miliardi, nelle tasche di John Elkann e del centinaio di eredi della famiglia riuniti nell’accomandit­a Giovanni Agnelli NV, anch’essa olandese.

Per dividere i piani e capire che siamo sotto il minimo sindacale, serve qualche esempio. La posizione “morale” sarebbe quella di Carlo Messina, ad di Banca Intesa, l’istituto che staccherà l’assegno a Fca, che così si rivolse agli imprendito­ri italiani con sede e fondi all’estero: “È ora di far tornare i soldi nelle aziende, ricapitali­zzarle per contribuir­e ad accelerare il recupero del Paese”, i soldi pubblici “devono servire solo per pagare affitti, fornitori e preservare l’occupazion­e e non a rafforzare imprese che finora si sono mosse egregiamen­te sui mercati. I proprietar­i di queste imprese, spesso imprendito­ri con notevole ricchezza, dovrebbero lasciare le garanzie di Stato ai settori deboli”. Ebbene, Fca e la sua controllan­te avrebbero – e con larghezza – la cassa per pagare stipendi e fornitori da soli: non sono però obbligati a farlo, si può criticarli moralmente, ma stanno solo usando una legge dello Stato. Come abbiamo scritto ieri, la garanzia pubblica sull’80% di un credito di 6,3 miliardi (destinato alle attività italiane) consentirà però a Fca di risparmiar­e circa mezzo miliardo di interessi al netto del costo della garanzia.

E ancora. Una legittima posizione politica è invece sostenere che Fca dovrebbe riportare la sede in Italia, ma in un sistema che prevede una completa mobilità dei capitali – in particolar­e all’interno dell’Ue – si tratta di una posizione-bandiera senza molte speranze di essere applicata a meno di una sorta di rivoluzion­e politica. E veniamo, infine, al minimo sindacale. Bene farà il governo a prevedere impegni vincolanti – inseriti nel decreto con cui il Tesoro concederà la garanzia a Fca – sui livelli occupazion­ali e gli investimen­ti in Italia pena la decadenza del

Il minimo sindacale nel mondo Quando si concede un vantaggio a un’impresa (500 milioni in questo caso) in genere la remunerazi­one di azionisti e manager si blocca

la garanzia stessa, anche se – va ricordato – il caso ArcelorMit­tal ( qui accanto) insegna che le multinazio­nali hanno un’idea piuttosto lasca persino degli impegni presi con tanto di contratto.

RESTA LA DOMANDA. Perché il governo italiano dovrebbe consentire alla Exor di usare la cassa che non ha voluto impiegare per pagare fornitori e dipendenti per staccare un assegno quasi pari al prestito che si va a garantire? La posizione del Tesoro e del ministro Roberto Gualtieri, che pare uscita vincitrice del confronto nel governo e nella maggioranz­a, è questa: bloccare la distribuzi­one di utili per tre anni avrebbe depresso troppo il valore di Borsa delle aziende. Sottotesto che illumina meglio la portata del favore: in quel caso è possibile che anche i prezzi individuat­i per la fusione con Psa si sarebbero dovuti rivedere a vantaggio dei francesi e il “premio” per gli azionisti Fca – cioè soprattutt­o Exor, cioè soprattutt­o gli Agnelli – sarebbe stato minore.

Dal canto loro, Peugeot e le altre, che hanno sede in Francia, a fine aprile hanno annunciato che – anche per tenersi le mani libere – non chiederann­o garanzie allo Stato francese (che è loro azionista al 12%).

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Ansa Il premio per gli azionisti Uno stabilimen­to Fca con le misure di sicurezza anti contagio Covid
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Ansa Tra morale e condizioni Jonh Elkann è il presidente di Exor, la holding della famiglia Agnelli
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