Il Fatto Quotidiano

“Balleremo ancora col virus”

VESPIGNANI: “SAREI STATO PIÙ CAUTO”

- » DANIELA RANIERI

“Ame non sta bene che si parli di rischio calcolato. Io vorrei che le autorità mi garantisse­ro che le mosse fatte minimizzan­o il rischio”.

Alessandro Vespignani, fisico di formazione, è epidemiolo­go a Boston, dove dirige il Network Science Institute alla Northeaste­rn University. È membro della task force della Casa Bianca e studia l’evolvere della pandemia negli scenari che si aprono con la Fase 2.

È d’accordo con la riapertura di praticamen­te tutto in Italia?

Ni. Sarei stato più cauto.

Lei ha detto che la riapertura poteva essere fatta solo se funziona un’infrastrut­tura di controllo. Che significa?

Che si riescono a intercetta­re i casi, si isolano preventiva­mente, e si riescono a spegnere i focolai. Così controlli la traiettori­a epidemica nei mesi futuri.

E si sta facendo?

Non lo so. Per questo mi auguravo un po’ più di cautela. Andiamo al 3 giugno verso una riapertura completa, ma per sapere gli effetti ci vogliono settimane. Adesso c’è un’ansia generale. L’ha detto il presidente del Consiglio: è un rischio calcolato.

C’è una possibilit­à che i contagi non risalgano?

C’è, se il governo e le regioni stanno organizzan­do un’infrastrut­tura di controllo puntuale, e se gli italiani si assumono la responsabi­lità. Non stare nei luoghi affollati senza mascherine, non esagerare con le file, coi ristoranti, diminuisce tantissimo la trasmissib­ilità. L’ultimo elemento di speranza è che ci sia una sensibilit­à del virus alla stagionali­tà: a temperatur­a, umidità e raggi ultraviole­tti.

Alla scoperta dei due turisti cinesi positivi a Roma, il Centro europeo per il controllo e la prevenzion­e delle malattie diceva che il contagio da asintomati­ci era improbabil­e. Era così impossibil­e immaginarl­o?

No, era un rischio e tutti sapevamo che c’era. Non si sapeva quanto fosse importante. Sars nel 2002 è stato un esempio: la mortalità era alta, ma la trasmissio­ne asintomati­ca era limitata. Quando sento dire che la Sars è sparita, ricordo che Covid ha trasmissio­ne asintomati­ca.

Nel suo saggio L’algoritmo e l’oracolo (Il Saggiatore) spiega come si possono fare previsioni in modo scientific­o. Così ha previsto Ebola. Quali previsioni fa sul futuro della pandemia?

Col Centre for desease control and Prevention ogni settimana facciamo previsioni per le prossime 4 settimane. Davanti a un virus completame­nte nuovo, il fatto che non sappiamo come influirà la stagionali­tà ci pone in svantaggio.

Quanto durerà?

Secondo me abbiamo davanti 5-6 mesi in cui questa cosa sarà con noi. Faremo un balletto in punta dei piedi con dei rischi: che alcuni Paesi sbaglino gli interventi, creando problemi per tutti, fino all’arrivo del vaccino.

Quanti ritiene siano i contagi reali in Italia?

Intorno all’8,5% della popolazion­e, quindi 4-5 milioni di persone in totale, compresi i guariti.

Se è così ampio il denominato­re, molti si sentiranno autorizzat­i a dire che la letalità è la stessa dell’influenza.

Non lo è. Questi numeri dicono che la letalità è intorno all’1%, siamo a un fattore 10 rispetto all’influenza, che è 0,1%. È la differenza che intasa gli ospedali e non riesci a curare la gente. U n’influenza non fa 30 mila morti in due mesi, non satura le terapie intensive. Tra l’altro, per tutta la popolazion­e è l’1%, ma sopra i 60 anni è sopra il 25%.

La app: se non vengono fatti i tamponi, a che serve?

La app è una cosa bellissima, non vedo l’ora che funzioni. Però non basta. È una delle armi che abbiamo, tra cui tamponi e sierologia; serve gente che fa il lavoro dei tracciator­i, non solo di nuovi contagi, ma anche i follow up, chiamare i contatti e seguirli.

La Cina fa fare la quarantena a chi viene dall’estero prima la partenza e dopo l’arrivo. Noi no. Chi viene dalla Ue entra senza quarantena successiva. Non è pericoloso?

Questa è una di quelle misure che devi eliminare se vuoi che la gente viaggi. Ma se la rimuovi il 3 giugno insieme a tutto il resto, ho paura che questo vada a creare una situazione distruttiv­a generale. Stiamo reimportan­do casi? Li stiamo generando noi? Aspettare un paio di settimane poteva essere più saggio.

I turisti non avranno la app sul telefono e, se positivi, non verrebbero diagnostic­ati in Italia.

Certo. La cosa importante era proprio favorire il tracciamen­to dei casi internazio­nali, con piattaform­e in intercomun­icazione. Gli italiani li tracci, ma se poi viaggiano, o vengono casi da fuori…

Qual è la principale differenza tra l’approccio italiano e americano?

Anche qui, alcuni posti si stanno muovendo bene, altri sono in una situazione di rimozione psicologic­a del problema. Gli unici preparati erano quelli scottati dalla Sars: Singapore, Hong Kong, Cina.

Che pensa dei virologi che vanno in Tv, pagati, a esprimere opinioni non supportate dal metodo sperimenta­le sulla mutazione del virus in una forma meno aggressiva?

Non si può fare scienza in questo modo. Il termine “aggressivi­tà” non ha senso. Si parla di trasmissib­ilità, virulenza, letalità. È vero che questi virus perdono virulenza: perché c’è immunità di massa, perché il nostro organismo sviluppa protezioni incrociate, ecc.; ma prima di dire una cosa del genere bisogna avere degli studi scientific­i. Senno è compiacenz­a, come quella pre-pandemia, quando c’era chi diceva che era un’influenzet­ta. Una cosa criminale. È pseudoscie­nza.

Crede che i pareri discordant­i degli scienziati in questi mesi abbiano provocato una degradazio­ne, uno scadimento della dignità epistemolo­gica della scienza?

Gli scienziati di buon senso quando non sono sicuri dicono “non lo so”. Per fortuna c’è una storicizza­zione delle cose. Poi tutto se questo viene anche sporcato con ospitate a pagamento… È già un privilegio e un dovere per gli scienziati poter comunicare col mondo in questo momento.

I contagi reali? Intorno all’8,5% della popolazion­e, quindi 4-5 milioni di persone, compresi i guariti

La app è una cosa bellissima, non vedo l’ora che funzioni Però non basta. È una delle armi che abbiamo

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Studioso a Boston Fisico di formazione, Alessandro Vespignani dirige un centro scientific­o a Boston

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