“Balleremo ancora col virus”
VESPIGNANI: “SAREI STATO PIÙ CAUTO”
“Ame non sta bene che si parli di rischio calcolato. Io vorrei che le autorità mi garantissero che le mosse fatte minimizzano il rischio”.
Alessandro Vespignani, fisico di formazione, è epidemiologo a Boston, dove dirige il Network Science Institute alla Northeastern University. È membro della task force della Casa Bianca e studia l’evolvere della pandemia negli scenari che si aprono con la Fase 2.
È d’accordo con la riapertura di praticamente tutto in Italia?
Ni. Sarei stato più cauto.
Lei ha detto che la riapertura poteva essere fatta solo se funziona un’infrastruttura di controllo. Che significa?
Che si riescono a intercettare i casi, si isolano preventivamente, e si riescono a spegnere i focolai. Così controlli la traiettoria epidemica nei mesi futuri.
E si sta facendo?
Non lo so. Per questo mi auguravo un po’ più di cautela. Andiamo al 3 giugno verso una riapertura completa, ma per sapere gli effetti ci vogliono settimane. Adesso c’è un’ansia generale. L’ha detto il presidente del Consiglio: è un rischio calcolato.
C’è una possibilità che i contagi non risalgano?
C’è, se il governo e le regioni stanno organizzando un’infrastruttura di controllo puntuale, e se gli italiani si assumono la responsabilità. Non stare nei luoghi affollati senza mascherine, non esagerare con le file, coi ristoranti, diminuisce tantissimo la trasmissibilità. L’ultimo elemento di speranza è che ci sia una sensibilità del virus alla stagionalità: a temperatura, umidità e raggi ultravioletti.
Alla scoperta dei due turisti cinesi positivi a Roma, il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie diceva che il contagio da asintomatici era improbabile. Era così impossibile immaginarlo?
No, era un rischio e tutti sapevamo che c’era. Non si sapeva quanto fosse importante. Sars nel 2002 è stato un esempio: la mortalità era alta, ma la trasmissione asintomatica era limitata. Quando sento dire che la Sars è sparita, ricordo che Covid ha trasmissione asintomatica.
Nel suo saggio L’algoritmo e l’oracolo (Il Saggiatore) spiega come si possono fare previsioni in modo scientifico. Così ha previsto Ebola. Quali previsioni fa sul futuro della pandemia?
Col Centre for desease control and Prevention ogni settimana facciamo previsioni per le prossime 4 settimane. Davanti a un virus completamente nuovo, il fatto che non sappiamo come influirà la stagionalità ci pone in svantaggio.
Quanto durerà?
Secondo me abbiamo davanti 5-6 mesi in cui questa cosa sarà con noi. Faremo un balletto in punta dei piedi con dei rischi: che alcuni Paesi sbaglino gli interventi, creando problemi per tutti, fino all’arrivo del vaccino.
Quanti ritiene siano i contagi reali in Italia?
Intorno all’8,5% della popolazione, quindi 4-5 milioni di persone in totale, compresi i guariti.
Se è così ampio il denominatore, molti si sentiranno autorizzati a dire che la letalità è la stessa dell’influenza.
Non lo è. Questi numeri dicono che la letalità è intorno all’1%, siamo a un fattore 10 rispetto all’influenza, che è 0,1%. È la differenza che intasa gli ospedali e non riesci a curare la gente. U n’influenza non fa 30 mila morti in due mesi, non satura le terapie intensive. Tra l’altro, per tutta la popolazione è l’1%, ma sopra i 60 anni è sopra il 25%.
La app: se non vengono fatti i tamponi, a che serve?
La app è una cosa bellissima, non vedo l’ora che funzioni. Però non basta. È una delle armi che abbiamo, tra cui tamponi e sierologia; serve gente che fa il lavoro dei tracciatori, non solo di nuovi contagi, ma anche i follow up, chiamare i contatti e seguirli.
La Cina fa fare la quarantena a chi viene dall’estero prima la partenza e dopo l’arrivo. Noi no. Chi viene dalla Ue entra senza quarantena successiva. Non è pericoloso?
Questa è una di quelle misure che devi eliminare se vuoi che la gente viaggi. Ma se la rimuovi il 3 giugno insieme a tutto il resto, ho paura che questo vada a creare una situazione distruttiva generale. Stiamo reimportando casi? Li stiamo generando noi? Aspettare un paio di settimane poteva essere più saggio.
I turisti non avranno la app sul telefono e, se positivi, non verrebbero diagnosticati in Italia.
Certo. La cosa importante era proprio favorire il tracciamento dei casi internazionali, con piattaforme in intercomunicazione. Gli italiani li tracci, ma se poi viaggiano, o vengono casi da fuori…
Qual è la principale differenza tra l’approccio italiano e americano?
Anche qui, alcuni posti si stanno muovendo bene, altri sono in una situazione di rimozione psicologica del problema. Gli unici preparati erano quelli scottati dalla Sars: Singapore, Hong Kong, Cina.
Che pensa dei virologi che vanno in Tv, pagati, a esprimere opinioni non supportate dal metodo sperimentale sulla mutazione del virus in una forma meno aggressiva?
Non si può fare scienza in questo modo. Il termine “aggressività” non ha senso. Si parla di trasmissibilità, virulenza, letalità. È vero che questi virus perdono virulenza: perché c’è immunità di massa, perché il nostro organismo sviluppa protezioni incrociate, ecc.; ma prima di dire una cosa del genere bisogna avere degli studi scientifici. Senno è compiacenza, come quella pre-pandemia, quando c’era chi diceva che era un’influenzetta. Una cosa criminale. È pseudoscienza.
Crede che i pareri discordanti degli scienziati in questi mesi abbiano provocato una degradazione, uno scadimento della dignità epistemologica della scienza?
Gli scienziati di buon senso quando non sono sicuri dicono “non lo so”. Per fortuna c’è una storicizzazione delle cose. Poi tutto se questo viene anche sporcato con ospitate a pagamento… È già un privilegio e un dovere per gli scienziati poter comunicare col mondo in questo momento.
I contagi reali? Intorno all’8,5% della popolazione, quindi 4-5 milioni di persone, compresi i guariti
La app è una cosa bellissima, non vedo l’ora che funzioni Però non basta. È una delle armi che abbiamo