Il Fatto Quotidiano

3 mesi in casa senza tamponi

S. GIULIANO (MI): LA STORIA DI MARTA

- » NATASCIA RONCHETTI

“Una svista? Ancora me lo chiedo. So solo che l’Usca, che non mi ha mai visitata, ha detto al mio medico di stare tranquilla perché il mio tampone era negativo. Peccato che a me il tampone non sia mai stato fatto”. Marta Nisticò ha 36 anni ed è impiegata, a Milano, in una multinazio­nale. Di origini calabresi, vive a San Giuliano Milanese. Da quasi due mesi la perseguita­no febbre, dolori al torace, difficoltà respirator­ie, tosse. È chiusa da sola in casa, senza assistenza, a eccezione di quella del suo medico di famiglia, che l’ha inserita tra i casi Covid riconosciu­ti e l’ha segnalata due volte all’Ats di Milano, senza risultati. “Mi domando su chi vengano eseguiti quei migliaia di tamponi giornalier­i che vengono sbandierat­i dalla Regione Lombardia. Io credo che vengano fatti solo a chi è in via di guarigione, per verificare se ancora positivo. Ma quanti sono nelle mie condizioni? In quanti stanno ancora aspettando? E quanti sono i nuovi contagiati?”, si chiede la ragazza.

Quando ha cominciato ad avvertire i primi sintomi? Verso i primi di marzo. Ho chiamato il sostituto del mio medico di base, che si era nel frattempo ammalata di Covid. Mi prescrive qualche giorno di tachipirin­a, ma stavo sempre peggio. Mi sono anche dovuta separare dalla mia bambina di otto anni, che si è trasferita dal padre.

Si è rivolta all’ospedale?

Sì, il 3 aprile ho chiamato il 112 e mi hanno portata al pronto soccorso del policlinic­o di San Donato, anche se in quel momento non avevo febbre. Un infermiere mi urlò contro: “Cosa viene a fare lei qui, questo è un ospedale Covid!”. Dalla lastra non risultava nulla. Non hanno nemmeno scritto il referto. Solo dopo, dal mio medico, ho saputo che a volte la polmonite interstizi­ale si vede solo con la Tac.

E allora che ha fatto?

Sono tornata a casa e mi sono nuovamente rinchiusa, in attesa del tampone. Ha continuato a seguirmi il mio medico di famiglia, che mi aveva segnalato anche all’Usca. Mi hanno chiamata, una volta: l’8 aprile. Poi il silenzio, mai visti. Il giorno dopo il mio medico mi ha detto che l’Usca lo aveva avvertito che il mio tampone era negativo: peccato non mi fosse mai stato fatto. La mia dottoressa è caduta dalle nuvole. Eravamo nel pieno della saturazion­e degli ospedali, e anche lei non sapeva più come muoversi. Poi, quando mi è risalita la febbre, ha richiesto di nuovo il tampone. Sono quasi due mesi che aspetto.

Chi la sta aiutando?

I vicini di casa, e faccio la spesa online.

I suoi genitori sono in Calabria, ma suo padre ha scritto anche al procurator­e di Milano Francesco Greco, per

Sono rinchiusa in casa da mesi. La dottoressa ha chiesto che mi facciano l’esame Non voglio farlo in via privata, le tasse cosa le pago a fare?

segnalare la sua situazione. Farà un esposto?

Non so. Ogni volta mi dico: adesso mi assisteran­no, adesso mi faranno il tampone, magari nel frattempo starò meglio, guarirò… Poi torna la febbre e penso: non è possibile. Fortunatam­ente il mio medico mi ha dato subito il Plaquenil, per i problemi respirator­i.

Vista la situazione, che idea si è fatta della sanità della regione in cui vive?

Tantissime persone sono state assistite, è indubbio. Mi resta sempre l’impression­e, però, che qualcosa ci sfugga, che qualcosa venga nascosto. Penso ai tamponi che vantano ogni giorno di eseguire. Ma quanti invece sono ancora nella mia situazione? Io non voglio fare il test sierologic­o e il tampone privatamen­te. Pretendo che mi venga pagato dalla sanità della mia regione, quella per cui pago anche le tasse. Non ne faccio una questione di soldi. Ne faccio una questione di principio: dov’è l’assistenza a cui ho diritto?

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Ansa Medicina del territorio Le Usca dovrebbero assistere i malati a casa

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