Task force: triste addio La politica spodesta i tecnici severi e rigidi
Le nuove misure allentano le raccomandazioni del comitato di Borrelli. I Dpcm, invece, non hanno tenuto conto di Colao
Ricorderete, probabilmente senza molta nostalgia, il bollettino quotidiano della Protezione civile delle ore 18. Ricorderete pure la “nazionale dei virologi” e dei tecnici che in questo periodo hanno imperversato in televisione e sui giornali. Si poteva pronunciare con la stessa cadenza di quella di Bearzot dell’82: Borrelli, Brusaferro, Arcuri - Gallo, Ricciardi, Rezza - Burioni, Ippolito, Capua...
Sembra passato un secolo, ma c’è stato un lungo momento, nella tremenda stagione del Covid, in cui sembrava che la politica avesse delegato ogni responsabilità al sapere tecnico-scientifico. E che il destino del Paese fosse tutto nelle mani del comitato che telecomandava Palazzo Chigi, in splendida libertà dai lacciuoli futili della vanità, del consenso e del potere.
Una fuga dalla politica sublimata in aprile dalla nomina di Vittorio Colao, un manager con una discreta carriera nel settore privato, ex amministratore delegato di Vodafone, a capo di una task force di tecnici che avrebbero dovuto indicare la via di un nuovo sviluppo dopo le devastazioni lasciate dal virus.
ECCO, se davvero c’è stata una resa della politica alla superiorità della scienza, quella fase è finita, non esiste più. A un certo punto – contando pure la task force sulle fake news e i 74 esperti al lavoro sui sistemi per il tracciamento dei positivi – la pletora di tecnici assoldati da Conte aveva raggiunto numeri importanti (li ha calcolati Wired): 4 gruppi di lavoro per 111 esperti (aumentati ulteriormente a maggio per garantire un minimo di rappresentanza femminile). Dopo aver messo in campo questo esercito di professionisti, al momento delle decisioni cruciali, la politica si è ripresa tutto quello che era suo.
Della task force di Colao, in particolare, c’è il rischio di conservare un ricordo non proprio indelebile. Il manager si avvia già a concludere il suo mandato, che scade il 7 giugno (a meno che non gli venga rinnovato il mandato) e fino a questo momento il contributo nella gestione della crisi e nei modelli di ripartenza è stato sostanzialmente impalpabile. Il rapporto di Colao con Conte (relazione a distanza, visto che il manager ha lavorato da Londra) non è mai decollato. Colao e la sua squadra
( 17 uomini a i quali sono state affiancate, tardivamente, 5 donne) erano stati presentati dal premier con queste parole: “Un comitato di esperti in materia economica e sociale con il compito di elaborare e proporre misure necessarie a fronteggiare l’emergenza e per una ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive”. Avrebbero dovuto scandire le riaperture. Hanno scritto e presentato documenti, linee guida, proposte. Nella sostanza non hanno inciso mai.
L’altro grande gruppo di lavoro è il sopracitato Cts, il comitato tecnico-scientifico che ha indirizzato i movimenti del governo nella fase del lockdown. Arrivati al momento fatidico delle riaperture, la politica è tornata a fare da sé.
NON È MISTERO che medici e virologi del Cts volessero più prudenza. Che le linee guida fossero quelle finite nel documento dell’Inail: una ripresa molto più rigida di quella pensata dal governo e soprattutto dai presidenti delle Regioni (e dagli “spettatori” di Confindustria). Così nell’estenuante trattativa finale tra Conte e i governatori, i tecnici in buona sostanza non hanno toccato palla. È illuminante, in tal senso, l’intervista all’Huffington Postdi Sergio Iavicoli, direttore del dipartimento di medicina, epidemiologia e igiene del lavoro dell’Inail e componente del Cts: “Le nostre erano solo raccomandazioni al decisore politico, non linee guida”. E dunque “non si può dire che il nostro lavoro sia stato sconfessato”. Come a dire: noi non dovevamo mica decidere nulla, abbiamo solo dato dei suggerimenti. Spesso ignorati. Come la distanza minima nei ristoranti, una delle battaglie campali di questi giorni: è passata dai quattro metri quadri per cliente proposti dall’Inail all’unico metro concordato da governo e Regioni.
È la Fase 2: l’emergenza era la salute, ora sono i soldi. Qui comanda la politica. Domani chissà.
Le nostre erano solo raccomandazioni al decisore politico Per questo non si può dire che il nostro lavoro sia stato sconfessato SERGIO IAVICOLI
L’emergenza Dal bollettino delle ore 18 alla nazionale dei virologi: sembra passato un secolo