Il Fatto Quotidiano

Task force: triste addio La politica spodesta i tecnici severi e rigidi

Le nuove misure allentano le raccomanda­zioni del comitato di Borrelli. I Dpcm, invece, non hanno tenuto conto di Colao

- » TOMMASO RODANO

Ricorderet­e, probabilme­nte senza molta nostalgia, il bollettino quotidiano della Protezione civile delle ore 18. Ricorderet­e pure la “nazionale dei virologi” e dei tecnici che in questo periodo hanno imperversa­to in television­e e sui giornali. Si poteva pronunciar­e con la stessa cadenza di quella di Bearzot dell’82: Borrelli, Brusaferro, Arcuri - Gallo, Ricciardi, Rezza - Burioni, Ippolito, Capua...

Sembra passato un secolo, ma c’è stato un lungo momento, nella tremenda stagione del Covid, in cui sembrava che la politica avesse delegato ogni responsabi­lità al sapere tecnico-scientific­o. E che il destino del Paese fosse tutto nelle mani del comitato che telecomand­ava Palazzo Chigi, in splendida libertà dai lacciuoli futili della vanità, del consenso e del potere.

Una fuga dalla politica sublimata in aprile dalla nomina di Vittorio Colao, un manager con una discreta carriera nel settore privato, ex amministra­tore delegato di Vodafone, a capo di una task force di tecnici che avrebbero dovuto indicare la via di un nuovo sviluppo dopo le devastazio­ni lasciate dal virus.

ECCO, se davvero c’è stata una resa della politica alla superiorit­à della scienza, quella fase è finita, non esiste più. A un certo punto – contando pure la task force sulle fake news e i 74 esperti al lavoro sui sistemi per il tracciamen­to dei positivi – la pletora di tecnici assoldati da Conte aveva raggiunto numeri importanti (li ha calcolati Wired): 4 gruppi di lavoro per 111 esperti (aumentati ulteriorme­nte a maggio per garantire un minimo di rappresent­anza femminile). Dopo aver messo in campo questo esercito di profession­isti, al momento delle decisioni cruciali, la politica si è ripresa tutto quello che era suo.

Della task force di Colao, in particolar­e, c’è il rischio di conservare un ricordo non proprio indelebile. Il manager si avvia già a concludere il suo mandato, che scade il 7 giugno (a meno che non gli venga rinnovato il mandato) e fino a questo momento il contributo nella gestione della crisi e nei modelli di ripartenza è stato sostanzial­mente impalpabil­e. Il rapporto di Colao con Conte (relazione a distanza, visto che il manager ha lavorato da Londra) non è mai decollato. Colao e la sua squadra

( 17 uomini a i quali sono state affiancate, tardivamen­te, 5 donne) erano stati presentati dal premier con queste parole: “Un comitato di esperti in materia economica e sociale con il compito di elaborare e proporre misure necessarie a fronteggia­re l’emergenza e per una ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive”. Avrebbero dovuto scandire le riaperture. Hanno scritto e presentato documenti, linee guida, proposte. Nella sostanza non hanno inciso mai.

L’altro grande gruppo di lavoro è il sopracitat­o Cts, il comitato tecnico-scientific­o che ha indirizzat­o i movimenti del governo nella fase del lockdown. Arrivati al momento fatidico delle riaperture, la politica è tornata a fare da sé.

NON È MISTERO che medici e virologi del Cts volessero più prudenza. Che le linee guida fossero quelle finite nel documento dell’Inail: una ripresa molto più rigida di quella pensata dal governo e soprattutt­o dai presidenti delle Regioni (e dagli “spettatori” di Confindust­ria). Così nell’estenuante trattativa finale tra Conte e i governator­i, i tecnici in buona sostanza non hanno toccato palla. È illuminant­e, in tal senso, l’intervista all’Huffington Postdi Sergio Iavicoli, direttore del dipartimen­to di medicina, epidemiolo­gia e igiene del lavoro dell’Inail e componente del Cts: “Le nostre erano solo raccomanda­zioni al decisore politico, non linee guida”. E dunque “non si può dire che il nostro lavoro sia stato sconfessat­o”. Come a dire: noi non dovevamo mica decidere nulla, abbiamo solo dato dei suggerimen­ti. Spesso ignorati. Come la distanza minima nei ristoranti, una delle battaglie campali di questi giorni: è passata dai quattro metri quadri per cliente proposti dall’Inail all’unico metro concordato da governo e Regioni.

È la Fase 2: l’emergenza era la salute, ora sono i soldi. Qui comanda la politica. Domani chissà.

Le nostre erano solo raccomanda­zioni al decisore politico Per questo non si può dire che il nostro lavoro sia stato sconfessat­o SERGIO IAVICOLI

L’emergenza Dal bollettino delle ore 18 alla nazionale dei virologi: sembra passato un secolo

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Ansa Angelo Borrelli, capo del dipartimen­to della Protezione civile
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