Mittal lascerà l’ex Ilva, si tratta per l’indennizzo
Gli indiani vanno via, lo Stato chiede un miliardo Manager spariti (“non rispondono”) e Tesoro inerme
Era un epilogo scritto e oggi nel governo non lo nascondono neanche più. L’ex Ilva di Taranto non ha più un padrone, nel senso che il colosso franco-indiano ArcelorMittal ha di fatto abbandonato al suo destino il gruppo siderurgico in amministrazione straordinaria e di cui è affittuario in forza di un contratto siglato nel 2017 – quando si è aggiudicato la gara per la vendita – e che ha stracciato l’autunno scorso. L’unico obiettivo della multinazionale ora è lasciare l’Italia.
I LVA V I V E ore drammatiche. Ieri hanno scioperato gli operai di Genova Cornigliano. Venerdì sarà sciopero a Taranto. A far scattare le proteste è il ricorso senza giustificazione alla cassa integrazione per migliaia di persone in un gruppo che ne impiega qui oltre 10 mila. Mittal ha ridotto al minimo la produzione di acciaio e la quasi totalità degli impianti sono fermi a valle del ciclo produttivo in tutti i siti italiani. Gli investimenti per l’ambientalizzazione sono bloccati e gli impianti in stato di abbandono, mentre l’azienda non parla coi sindacati. Ieri i ministri Stefano Patuanelli (Sviluppo) e Nunzia Catalfo (Lavoro) hanno convocato tutti per lunedì, ma la situazione è chiara.
“Gli indiani di fatto è come se non esistessero. I manager europei non rispondono neanche più al telefono...”, spiegano al Fatto autorevoli fonti dell’esecutivo. Ora l’unica partita è strappare un indennizzo adeguato, ma è una sfida in salita. Solo il 6 marzo Mittal e i commissari governativi hanno stabilito di riscrivere i termini del contratto per la cessione degli stabilimenti dell’ex Ilva che a novembre 2019 il colosso guidato da Lakshmi Mittal aveva stracciato scatenando un gigantesco contenzioso civile a Milano (con tanto di inchieste aperte dalle procure di Milano e Taranto sulle maxi-perdite e gli impianti depauperati): quell’accordo ha fatto decadere anche il ricorso dei commissari. Con la crisi del Covid, però, Mittal si è rimangiato tutto.
Il piano industriale che l’ad Lucia Morselli – chiamata da Mittal nell’agosto 2019 per gestire lo scontro con l’esecutivo – doveva presentare a inizio maggio non c’è. Nei ministeri romani ritengono che la casa madre inglese di Mittal lo abbia bocciato. E infatti negli ultimi giorni i manager europei del gruppo sono come spariti: nei mesi scorsi Morselli aveva azzerato le prime linee di manager stranieri portati dal gruppo franco tedesco sostituendoli con dirigenti italiani. Nelle ultime settimane Mittal ha accumulato oltre 40 milioni di debiti coi fornitori e la cassa del gruppo sarebbe di fatto azzerata.
Nel governo ormai sanno che Mittal se ne sta andando. L’obiettivo, disperato, è ottenere un indennizzo adeguato. Una clausola prevista nell’accordo di marzo permette a Mittal di lasciare Ilva pagando una penale di 500 milioni da esercitare tra il 1° e il 30 novembre prossimo. Il governo chiede almeno un miliardo. L’atteggiamento del gruppo lascia supporre che l’obiettivo sia mettere l’esecutivo spalle al muro contando sul fatto che più va avanti lo stallo più si deteriorano gli impianti, già non in grandi condizioni vista l’a ssenza di manutenzioni. Insomma, di cavarsela con qualche centinaio di milioni, tanto più che il 2020 di Ilva si chiuderà con almeno mezzo miliardo di perdite.
IL MALUMORE A ROMA sale di ora in ora. Soprattutto all’interno del governo e nei confronti del ministero dell’Economia. Allo staff di Roberto Gualtieri diversi colleghi contestano di aver dimostrato “più attenzione nei confronti di Mittal che dello Stato italiano”, cercando di non imporre condizioni vincolanti a Mittal nel corso della trattativa nella convinzione di ammorbidire così l’atteggiamento della multinazionale. “A Via XX settembre neanche volevano imporre una penale a Mittal, è stata inserita solo grazie a Conte e Patuanelli – si lamenta una fonte di rango – In queste settimane durante le riunioni tecniche gli uomini del Tesoro hanno sempre cercato di minimizzare gli allarmi dei commissari che chiedevano invece di obbligare Mittal a giustificare ritardi e comportamenti inaccettabili”. Al Tesoro non avrebbero dato nessuna indicazione precisa neanche al plenipotenziario italiano nel negoziato, il manager Francesco Caio. Con l’uscita della multinazionale, a sobbarcarsi il peso del rilancio dell’Ilva sarà lo Stato. Il colosso franco indiano aveva promesso 1,25 miliardi di investimenti ambientali e altrettanti di investimenti produttivi. Ora servono almeno 2 miliardi: uno il governo spera di ottenerlo da Mittal, su cui ricadono anche altre penali per aver sciolto il contratto. L’esecutivo spera anche che in qualche modo possa pesare la super fideiussione versata da Mittal a garanzia di Banca Intesa, finanziatrice dell’operazione, ma le armi sono assai spuntate. Un segnale inquietante mentre si dettano condizioni a Fca per ottenere la garanzia pubblica su un prestito miliardario.
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