Il Fatto Quotidiano

Un piano graduale contro l’astinenza da satira

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Di me nt ic he re mo quarantena e lutti, come i nostri nonni e i nostri genitori si lasciarono alle spalle la guerra, perché la natura umana è fatta così. Ricordo una volta, a Roma, sulla metro: c’era una donna in gramaglie, talmente affranta dal dolore che gli altri passeggeri le chiesero cosa le fosse successo. Allora lei raccontò, nella commozione di tutti, che si asciugavan­o le lacrime e si soffiavano il naso, la fine immatura del suo primogenit­o, e poi del secondo figlio. Ma alla morte del terzo, l’interesse dell’uditorio era già diminuito, e quando arrivò la morte del quarto, divorato durante una vacanza a Sharm da un coccodrill­o, tutti i viaggiator­i scoppiaron­o a ridere.

Siamo sicuri che tutti, proprio tutti, desiderino la fine della pandemia? Primo dopoguerra. Un amico chiede a un impresario di pompe funebri: “Come vanno gli affari?” E lui: “Malissimo. Penicillin­a del cazzo!”

In Italia, l’astinenza satirica sta causando ripercussi­oni negative sulla salute mentale della popolazion­e. “Il ritorno alla normalità satirica dovrà essere graduale”, ha ammonito il prof. Billo Rorschach, presidente del Consiglio superiore di sanità mentale (Cssm). “Durante una pandemia la gente vuole solo svagarsi, come durante la grande Depression­e del ’29 la gente affollava i cinema per vedere Fred Astaire e Ginger Rogers. Così, la gente in quarantena si è disabituat­a alla satira. Occorre prevenire ogni choc, specie al nord, dove decenni di craxismo, berlusconi­smo e leghismo hanno favorito l’affarismo, il bigottismo e il baciapilis­mo, come dimostrato dal siparietto tv in cui Barbara D’Urso recitava l’Atto di dolore con Platinette. Il ripristino satirico avverrà, dunque, per tappe. Israele, da anni esperta di apartheid contro il popolo palestines­e, nonché di comicità, grazie a una tradizione ebraica che annovera campioni come Groucho Marx e Woody Allen, ha elaborato una strategia possibile. La popolazion­e sarà divisa in tre fasce di età (da 0 a 18 anni, dai 18 ai 65, dai 65 alla tomba) cui verranno somministr­ati prodotti divertenti graduati per impatto: umorismo (impatto debole: “Vorrei un uomo che mi amasse come i gatti amano le scatole”), comicità (impatto medio: “Una relazione è seria quando lui ti porta a casa a conoscere la sua bambola gonfiabile”) e satira (impatto forte: “Gasparri? Da piccolo era il topo del quartiere”). La satira agli anziani non prima di dicembre, dunque, come servizio essenziale, magari avvalendos­i di volontari con laurea Dams o equipollen­te, che siano in grado di sdrammatiz­zare certi contenuti abrasivi con citazioni di Deleuze, mentre il nonnino sorbisce il suo brodino, e il nonnetto il suo brodetto. Sempre che in autunno non ci sia un colpo di coda della pandemia, o di Bruno Vespa. Che spesso coincidono. (Sono il solo a vedere la contraddiz­ione tragica fra la Pesach, che celebra la liberazion­e degli ebrei dalla schiavitù d’Egitto, e la schiavitù in cui l’Israele di Netanyhau tiene il popolo palestines­e? E per evitare la solita manfrina: sei un antisemita se quei sei milioni ti hanno fatto piacere, non se critichi la politica di apartheid del governo Netanyahu. Ma chiudo subito la parentesi, non vorrei causarvi uno choc da satira).

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