“Il potere di Amazon non ha limiti Va contenuto per il bene di tutti”
LMartin Angioni, nato Roma 52 anni fa, ha diretto per quattro anni, fino al 2015, la filiale italiana di Amazon. In precedenza ha lavorato nel settore editoriale (Mondadori) e nella finanza
(Jp Morgan). Ha appena pubblicato “Amazon dietro le quinte” e cose più interessanti che sappiamo sui giganti digitali del nostro tempo le dobbiamo a ex manager usciti di scena. Come Martin Angioni che nel suo Amazon dietro le quinte( Raffaello Cortina), in uscita domani, racconta ciò che ha visto della società di Jeff Bezos. Country manager per l’Italia fino al 2015, fu licenziato per un’intervista-gaffe in cui prendeva in giro gli accertamenti del fisco italiano. È successo che Amazon oggi controlla metà delle vendite online Usa, a fine 2019 ha fatturato 280 miliardi, un po’ più della metà di Walmart, primo retailer del mondo. I concorrenti ne hanno sottovalutato il first mover advantage, l’essere stata una velocissima lepre (cresce del 20% a trimestre), da subito focalizzata sul settore in maggior crescita senza dover difendere i costi dei negozi fisici. Ha acquisito i clienti e con Prime li ha fidelizzati, ha aperto ai venditori terzi aumentando l’offerta. Oggi ne ha più di 3 milioni e 2 miliardi di pagine di dettaglio. È l’azienda che più velocemente nella storia ha raggiunto i 100 miliardi di fatturato. Aws, la controllata del cloud, è quella che più velocemente ha raggiunto i 10. Predomina in tutti i settori, merito di un approccio “bimodale”: execution spietata, rigorosa, militare e capacità d’innovare.
L’intensità con cui si lavora: 4 anni equivalgono a 12. È un predatore studiato in laboratorio per battere tutti. L’intelligenza collettiva mette continuamente a punto processi che organizzano ogni aspetto della vita dell’azienda e chi non ci sta alla fine è costretto a lasciare. Bezos odia le gerarchie, il modello di leadership diffusa (“non si sa da chi possa venire l’idea geniale”) spinge tutti a innovare sempre. Gli “amazonians” sono geneticamente modificati, parlano nello stesso modo, ripetono le stesse formule, hanno sempre un obiettivo. A molte domande rispondono che non sanno o non possono dire. Come se avessero dismesso l’identità e fossero solo emissari di Amazon. C’era un motto: “If you’re a good amazonian, you become an Amabot”.
Raggiungerà una posizione di dominio tale da non avere più rivali. Temo non continueremo a godere dei prezzi e servizi a condizioni imbattibili di oggi.
Amazon compensa i prezzi predatori con cui schianta i concorrenti con le commissioni ai venditori terzi, quindi i consumatori non lo vedono. I prezzi sono bassi sul retail (il 40%), che è in utile negli Usa ma in perdita strutturale altrove, e massimizza il traffico dei clienti obbligando i venditori (il 60%) a competere sui prezzi se vogliono vincere la “buy-box”, il bottone per l’acquisto. Poi incassa un 15% medio di commissione, un bel margine, che aumenta se si utilizzano i servizi di logistica, in crescita come, di molto, la pubblicità: è il terzo player dopo Google e Facebook.
Nel mio libro parlo dell’ottimizzazione che si basa sullo sfruttamento della proprietà intellettuale (IP) e del tax ruling, l’accordo fiscale con il Lussemburgo. Ci sono varie società, la holding e quella operativa. La proprietà intellettuale viene ceduta dalla prima alla seconda, che ne paga l’utilizzo. La remunerazione passa per le royalties, che trasformano i profitti in pagamenti di proprietà intangibili alla capogruppo. La società che controlla la holding lussemburghese è controllata da soggetti non residenti in Ue ma negli Usa, e quindi non è tassata in nessuno dei due Paesi. Nel 2018, Bruxelles ha sanzionato l’accordo con il Lussemburgo. Un mese dopo il mio licenziamento, 1° maggio 2015, la filiale italiana ricevette la partita Iva che prima era di Amazon eu Sarl, la sede europea e a dicembre 2017 chiuse l’accordo con l’Agenzia delle Entrate, che sanava con 100 milioni l’accusa di stabile organizzazione. Amazon paga l’Iva solo sui prodotti fisici, non sugli intangibili. Per i servizi a più alta marginalità fattura in Lussemburgo.
Shoshana Zuboff di Harvard parla di Surveillance Capitalism: le piattaforme utilizzano i dati dei clienti per influenzarne le decisioni e fare extra-profitti. Queste aziende hanno poi una enorme potenza di fuoco di lobbying a Washington e Bruxelles. Amazon è quella che in termini incrementali ha investito di più. E Bezos controlla il Washington Post.
Il libro
Il monopolio di fatto
Il colosso vale metà dell’ecommerce Usa. Da anni domina il mercato con prezzi predatori, che recupera con le commesse sui suoi venditori