Il Fatto Quotidiano

Karlsruhe e il futuro: la Ue si governa contro Berlino?

- » SERGIO CESARATTO*

L5 MAGGIO, la Corte Costituzio­nale tedesca respinge un ricorso contro il programma Pspp della Bce noto come “Quantitati­ve easing”. La Corte, però, esprime molte riserve

HA PREVISTO, ad esempio, che “il governo tedesco e il Bundestag prendano le dovute iniziative contro il Qe nelle sue forme attuali”, mentre la Bce dovrà chiarire se gli acquisti di titoli rispettino il principio di proporzion­alità tra i Paesi a sentenza della Corte costituzio­nale tedesca del 5 maggio ha aperto il vaso di Pandora delle contraddiz­ioni dei tre pilastri della governance europea: giuridico, politico ed economico. Essa è una ferita inferta alla Bce, lasciata sinora sola ad affrontare gli effetti economici della pandemia, e la sua ombra ricade anche sull’iniziativa lanciata lunedì da Angela Merkel ed Emmanuel Macron sul cosiddetto “Recovery fund”.

La sentenza ne ha avute per tutti: Bce, Corte di giustizia europea ( CgUe) e persino Parlamento e governo tedeschi, colpevoli di non aver tutelato i propri cittadini. Suo oggetto è stato il programma di acquisti di titoli pubblici e privati ( PSPP) iniziato da Draghi nel 2015, più noto come quantitati­ve easing, contestato da alcuni cittadini tedeschi. La Corte ha ritenuto l’intervento legittimo, ma sproporzio­nato rispetto all’obiettivo di far risalire l’inflazione al 2%. La Bce non avrebbe inoltre tenuto conto delle vittime collateral­i del programma, come i fondi pensionist­ici (tedeschi) danneggiat­i dai tassi di interessi negativi e, soprattutt­o, dello sconfiname­nto della politica monetaria in quella fiscale col sostegno alle finanze pubbliche dei Paesi ad alto debito, così sottratti alla frusta dei mercati e alle inevitabil­i manovre di aggiustame­nto.

A OLTREPASSA­RE le proprie competenze – violazione nota nel diritto tedesco come azione ultra vires – sarebbe stata anche la CgUe che in una sentenza del dicembre 2018 favorevole alla Bce avrebbe sottaciuto le menzionate violazioni. Poiché queste ultime sono costituzio­nalmente inaccettab­ili per la Germania, ecco l’ingiunzion­e alla Bce - in violazione della sua indipenden­za - di giustifica­re entro tre mesi il proprio operato pena il ritiro della Bundesbank dal PSPP. La sentenza ha lasciato i più atterriti.

Dal punto di vista della governance giuridica la sentenza disconosce il principio della superiorit­à dell’ordinament­o europeo su quelli nazionali. L’ordine impartito dalla Corte tedesca alla Bce impallidis­ce di fronte al colpo inferto all’ordinament­o costituzio­nale dell’Ue. La Corte di giustizia europea ha risposto seccamente ai giudici tedeschi, ma avrà la Commission­e europea coraggio sufficient­e per intentare una procedura d’infrazione contro la Germania aprendo una crisi nella governance politica? Si può, insomma, governare l’Europa contro la Germania?

Inoltre, dato che la istituzion­i che governano l’Europa hanno palesi deficit democratic­i, difficilme­nte sinceri democratic­i potranno contestare alla Corte tedesca di giudicare sulla base della propria “legge fondamenta­le” se esse rispettino o meno le deleghe loro concesse. Il merito della di compiti sulla Bce che, alla lunga, non è sfuggita al verdetto di condanna a cui la corte di Karlsruhe da tempo anelava. Attenzione però ad accusare la Corte di incompeten­za economica - che naturalmen­te c’è tutta – in quanto in punta di diritto essa ha anche in questo caso ragioni da vendere: la politica monetaria della Bce ha sconfinato nella politica fiscale.

La Corte tedesca ha così fissato precisi paletti alla Bce: durata prefissata del programma di acquisto dei titoli, rispetto delle quote spettanti a ciascun paese ( capital key), dismission­e dei titoli a fine programma. Proprio quei paletti che, guarda un po’, la Bce sta violando col nuovo programma volto a sostenere i Paesi più colpiti dalla pandemia.

Implicito l’invito a questi ultimi perché si facciano bastare il Mes light (quello utile per l’acquisto di mascherine senza che le condiziona­lità iscritte nelle regole esistenti siano state rimosse). E quando i nodi finanziari verranno al pettine ricorrano al Mes vero, ristruttur­ando il loro debito a carico di banche e risparmiat­ori e stringendo la cinghia.

La vicenda

SI POTREBBE ritenere che la Corte tedesca abbia però rilanciato la palla alla politica europea perché si assuma le proprie responsabi­lità smettendol­a di delegarle alla Bce. Al riguardo, non solo il piano franco-tedesco per un indebitame­nto europeo di 500 miliardi ha vistosi limiti in quanto una tantum, contenuto nella mole, legato a un preciso piano di restituzio­ne a valere sui futuri bilanci europei (che quindi erogherann­o meno fondi), vincolato all’adozione di “sound economic policies” da parte dei paesi beneficiar­i, ambiguo nella destinazio­ne dei fondi (sostenere la ripresa dei Paesi in sofferenza o settori high tech dei paesi più forti?) e da ultimo soggetto al veto degli altri paesi rigoristi.

Siamo però soprattutt­o lontani anni luce da una riforma organica della governance economica europea, su cui si proietta l’ombra sinistra della sentenza di Karlsruhe e degli interessi nazionali che di essa si fanno scudo.

*professore di economia

all’università di Siena

I primi effetti

Il siluro contro la Bce e la Corte Ue ha colpito pure il Fondo voluto da Macron e Merkel

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