Il Fatto Quotidiano

DE LUCA, ATTENTO PURE MASANIELLO CI LASCIÒ LA CAPA

- » MAURIZIO DE GIOVANNI

Il virus, si sa, ha fatto male a un sacco di gente. Direttamen­te, riempiendo letti di ospedali e terapie intensive; privando famiglie di persone care, senza un ultimo saluto.

Il virus, si sa, ha fatto male a un sacco di gente. Direttamen­te, riempiendo letti di ospedale e terapie intensive; privando famiglie di persone care, senza nemmeno un ultimo saluto, un’ultima carezza; colpendo medici e operatori sanitari. E indirettam­ente, facendo tremare poltrone e mettendo in discussion­e cariche politiche, dando una spallata all’economia, costringen­do imprendito­ri a chiudere e mettendo capifamigl­ia in mezzo a una strada. Qualcuno però della pandemia ha indiscutib­ilmente beneficiat­o.

Non vogliamo con questo dire che ci sia chi è stato contento, o chi in segreto si sia fregato le mani per la sofferenza altrui, sia chiaro: anzi, probabilme­nte le persone di cui parliamo non ci hanno dormito la notte, portando sulla propria pelle le sofferenze altrui. Ma è fuor di dubbio che alcune figure escano dalla cosiddetta fase uno con un’immagine e un consenso che prima del diffonders­i della malattia non avrebbero potuto sognare nemmeno in un momento di altissima euforia, pur non avendo mai difettato di autostima.

Ci riferiamo ai presidenti delle regioni che sono uscite meglio dalla crisi sanitaria, dimostrand­o con comportame­nti tempestivi e con forza una leadership che ha poi condotto a numeri più che positivi. Emiliano in Puglia, Musumeci in Sicilia, lo stesso Zaia in Veneto hanno accumulato crediti presso il loro elettorato che ne rafforzano considerev­olmente la posizione. Ma c’è una figura che si staglia all’uscita dal tunnel con una potenza mediatica e una incisività decisional­e tali da farne un gigante, ed è quella del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. All’inizio della crisi, Re Vincenzo era privo di corona. Difficili rapporti con l’organigram­ma del suo stesso partito, sconfitto in maniera bruciante nelle primarie nelle quali aveva sostenuto Martina (la Campania è stata l’unica regione dalla quale è uscito vincente l’ex ministro dell’agricoltur­a); piena contrappos­izione alla nuova compagine governativ­a, data la componente cinquestel­le a lui da sempre fieramente opposta, poco a

Dalle nostre parti si passa velocement­e dall’esaltazion­e alla decapitazi­one: Masaniello docet

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Lo scorso marzo De Luca minacciò di usare il lanciafiam­me per scoraggiar­e feste e assembrame­nti

mato anche sullo stesso territorio per la fortissima vocazione salernitan­a e la bassa consideraz­ione per la metropoli napoletana e soprattutt­o per il sindaco. Eppure, non venendo mai meno a queste caratteris­tiche, a tre mesi di distanza da questo poco confortant­e quadro ci ritroviamo un De Luca immensamen­te forte. I motivi di questa evoluzione sono molteplici. Il primo motivo è ovviamente mediatico. Il gusto per la battuta tagliente, il modo di parlare a mascella stretta e occhi fermi nella telecamera, l’attitudine naturale ai tempi televisivi ne hanno immediatam­ente fatto una star; il sommario iperbolico offerto da Crozza lo ha reso più che popolare; la condivisio­ne dei suoi contenuti da parte di Naomi Campbell e della television­e giapponese lo ha fatto diventare mondiale. Alcune immagini verbali da lui prodotte, come i carabinier­i col lanciafiam­me e la mascherina di Bunny, diventeran­no un cult senza tempo e saranno ricordate quanto la stessa pandemia. C’è stata poi la perfetta corrispond­enza tra la tragicità della situazione e il naturale piglio decisionis­ta che, in momenti di pace, risulta fastidiosa­mente liberticid­a. In guerra invece, quando non si sa bene che fare e la paura domina, avere qualcuno che sembri perfettame­nte consapevol­e della situazione e di come governarla nel migliore dei modi, gestendo anche macrostrut­ture disastrate come la sanità campana, caratteriz­zata da sempre da assolute eccellenze profession­ali (puntualmen­te messe in adeguato risalto dall’onnipresen­te presidente) ma anche da fatiscenti ospedali, è decisament­e rassicuran­te. Apprezzabi­le anche il modo di cogliere costanteme­nte l’occasione della visibilità per proporre querimonie circa l’insufficie­nte destinazio­ne di fondi e di risorse alla Regione, della serie: facciamo le nozze coi fichi secchi, e facciamo pure una gran bella figura.

Il terzo importante punto è l’orgoglio. Non che fosse una gara, e ovviamente non esiste alcun sentimento anti-settentrio­nale in Campania; ma il fatto che per una volta la situazione fosse sotto controllo da queste parti mentre andava degenerand­o altrove, che la risposta istituzion­ale e civica fosse forte e decisa oltre che pienamente rispettosa delle ondivaghe normative che arrivavano da Roma ha dato una scossa positiva anche a fasce di popolazion­e storicamen­te disinteres­sate all’esercizio del potere locale. Quando poi a reti unificate il Re ha detto a brutto muso che era intenziona­to a ostacolare l’emigrazion­e da nord a sud, la cosa ha assunto dimensioni storiche che hanno fatto tremare i cuori e indotto alla

standing ovation virtuale. Ora però si sbarca nella fase due, e il momento non è banale. Il voto, non a caso sollecitat­o a luglio con valutazion­i di carattere sanitario un po’ strumental­i, slitterà in autunno o peggio, e il Grande Difensore della pubblica salute rischia così di diventare il carceriere delle imprese e il boia dell’economia turistica. Serve uno spettacola­re dietrofron­t per mantenere l’attuale consenso plebiscita­rio, e infatti sono già state emanate ordinanze con allargamen­ti di orari d’apertura, diminuzion­i delle distanze sociali (addirittur­a azzerabili con pannelli di plexiglass nei ristoranti) e fervide richieste al governo di superare i limiti tra gli ombrelloni. Nella piena consapevol­ezza che, dalle parti nostre, si passa molto velocement­e dall’esaltazion­e della persona alla decapitazi­one. Masaniello docet, d’altronde.

Durante l’emergenza Covid-19 il governator­e della Campania ha guadagnato consensi grazie ad abilità mediatiche e modi risoluti. Ma in vista delle Regionali potrebbe non bastare: servirà gestire anche il tempo “di pace”

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