DE LUCA, ATTENTO PURE MASANIELLO CI LASCIÒ LA CAPA
Il virus, si sa, ha fatto male a un sacco di gente. Direttamente, riempiendo letti di ospedali e terapie intensive; privando famiglie di persone care, senza un ultimo saluto.
Il virus, si sa, ha fatto male a un sacco di gente. Direttamente, riempiendo letti di ospedale e terapie intensive; privando famiglie di persone care, senza nemmeno un ultimo saluto, un’ultima carezza; colpendo medici e operatori sanitari. E indirettamente, facendo tremare poltrone e mettendo in discussione cariche politiche, dando una spallata all’economia, costringendo imprenditori a chiudere e mettendo capifamiglia in mezzo a una strada. Qualcuno però della pandemia ha indiscutibilmente beneficiato.
Non vogliamo con questo dire che ci sia chi è stato contento, o chi in segreto si sia fregato le mani per la sofferenza altrui, sia chiaro: anzi, probabilmente le persone di cui parliamo non ci hanno dormito la notte, portando sulla propria pelle le sofferenze altrui. Ma è fuor di dubbio che alcune figure escano dalla cosiddetta fase uno con un’immagine e un consenso che prima del diffondersi della malattia non avrebbero potuto sognare nemmeno in un momento di altissima euforia, pur non avendo mai difettato di autostima.
Ci riferiamo ai presidenti delle regioni che sono uscite meglio dalla crisi sanitaria, dimostrando con comportamenti tempestivi e con forza una leadership che ha poi condotto a numeri più che positivi. Emiliano in Puglia, Musumeci in Sicilia, lo stesso Zaia in Veneto hanno accumulato crediti presso il loro elettorato che ne rafforzano considerevolmente la posizione. Ma c’è una figura che si staglia all’uscita dal tunnel con una potenza mediatica e una incisività decisionale tali da farne un gigante, ed è quella del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. All’inizio della crisi, Re Vincenzo era privo di corona. Difficili rapporti con l’organigramma del suo stesso partito, sconfitto in maniera bruciante nelle primarie nelle quali aveva sostenuto Martina (la Campania è stata l’unica regione dalla quale è uscito vincente l’ex ministro dell’agricoltura); piena contrapposizione alla nuova compagine governativa, data la componente cinquestelle a lui da sempre fieramente opposta, poco a
Dalle nostre parti si passa velocemente dall’esaltazione alla decapitazione: Masaniello docet
Bomboniere ad honorem
Lo scorso marzo De Luca minacciò di usare il lanciafiamme per scoraggiare feste e assembramenti
mato anche sullo stesso territorio per la fortissima vocazione salernitana e la bassa considerazione per la metropoli napoletana e soprattutto per il sindaco. Eppure, non venendo mai meno a queste caratteristiche, a tre mesi di distanza da questo poco confortante quadro ci ritroviamo un De Luca immensamente forte. I motivi di questa evoluzione sono molteplici. Il primo motivo è ovviamente mediatico. Il gusto per la battuta tagliente, il modo di parlare a mascella stretta e occhi fermi nella telecamera, l’attitudine naturale ai tempi televisivi ne hanno immediatamente fatto una star; il sommario iperbolico offerto da Crozza lo ha reso più che popolare; la condivisione dei suoi contenuti da parte di Naomi Campbell e della televisione giapponese lo ha fatto diventare mondiale. Alcune immagini verbali da lui prodotte, come i carabinieri col lanciafiamme e la mascherina di Bunny, diventeranno un cult senza tempo e saranno ricordate quanto la stessa pandemia. C’è stata poi la perfetta corrispondenza tra la tragicità della situazione e il naturale piglio decisionista che, in momenti di pace, risulta fastidiosamente liberticida. In guerra invece, quando non si sa bene che fare e la paura domina, avere qualcuno che sembri perfettamente consapevole della situazione e di come governarla nel migliore dei modi, gestendo anche macrostrutture disastrate come la sanità campana, caratterizzata da sempre da assolute eccellenze professionali (puntualmente messe in adeguato risalto dall’onnipresente presidente) ma anche da fatiscenti ospedali, è decisamente rassicurante. Apprezzabile anche il modo di cogliere costantemente l’occasione della visibilità per proporre querimonie circa l’insufficiente destinazione di fondi e di risorse alla Regione, della serie: facciamo le nozze coi fichi secchi, e facciamo pure una gran bella figura.
Il terzo importante punto è l’orgoglio. Non che fosse una gara, e ovviamente non esiste alcun sentimento anti-settentrionale in Campania; ma il fatto che per una volta la situazione fosse sotto controllo da queste parti mentre andava degenerando altrove, che la risposta istituzionale e civica fosse forte e decisa oltre che pienamente rispettosa delle ondivaghe normative che arrivavano da Roma ha dato una scossa positiva anche a fasce di popolazione storicamente disinteressate all’esercizio del potere locale. Quando poi a reti unificate il Re ha detto a brutto muso che era intenzionato a ostacolare l’emigrazione da nord a sud, la cosa ha assunto dimensioni storiche che hanno fatto tremare i cuori e indotto alla
standing ovation virtuale. Ora però si sbarca nella fase due, e il momento non è banale. Il voto, non a caso sollecitato a luglio con valutazioni di carattere sanitario un po’ strumentali, slitterà in autunno o peggio, e il Grande Difensore della pubblica salute rischia così di diventare il carceriere delle imprese e il boia dell’economia turistica. Serve uno spettacolare dietrofront per mantenere l’attuale consenso plebiscitario, e infatti sono già state emanate ordinanze con allargamenti di orari d’apertura, diminuzioni delle distanze sociali (addirittura azzerabili con pannelli di plexiglass nei ristoranti) e fervide richieste al governo di superare i limiti tra gli ombrelloni. Nella piena consapevolezza che, dalle parti nostre, si passa molto velocemente dall’esaltazione della persona alla decapitazione. Masaniello docet, d’altronde.
Durante l’emergenza Covid-19 il governatore della Campania ha guadagnato consensi grazie ad abilità mediatiche e modi risoluti. Ma in vista delle Regionali potrebbe non bastare: servirà gestire anche il tempo “di pace”