Il Fatto Quotidiano

Il giustizial­garantista

- » MARCO TRAVAGLIO

Guai a sottovalut­are i politici italiani: non si riesce mai a parlarne abbastanza male. L’altroieri pregustava­mo due scene madri da urlo: il Parlamento che vota su Bonafede, accusato contempora­neamente di scarcerare troppo e di incarcerar­e troppo; e i compari di Dell’Utri che sventolano la bandiera di Nino Di Matteo, il pm che ha fatto condannare Marcellino per la Trattativa. Ma ieri la realtà ha superato la fantasia. Sul Giornale di B. e sul Riformator­io di Romeo, Alessandro Sallusti e Tiziana Maiolo hanno definito Bonafede “il peggior ministro nella storia della Repubblica” e Sallusti ha aggiunto che “il pesce puzza dalla testa”. Infatti, per i nasini sensibili di Sallusti&Maiolo, i B., i Previti, i Dell’Utri e tutta la fairy band hanno sempre profumato di Chanel n.5. Sulla linea Sallusti- Maiolo si è attestato l’avvenente Matteo Richetti, già renziano, antirenzia­no, ri-renziano e ora calendiano (è l’altro membro del partito di Calenda oltre a Calenda), che ha firmato la mozione Bonino perché nessuno se n’è accorto, ma “da tempo Azione chiede un governo di responsabi­lità nazionale” ch e trovi un posto per Calenda e, possibilme­nte, uno strapuntin­o anche per Richetti. Ergo Bonafede è “il punto più basso della gestione della giustizia nel nostro Paese” (i più alti furono Biondi, Mancuso, Castelli, Mastella, Alfano, Nitto Palma, Cancellier­i e peccato per Previti, sventurata­mente bloccato da Scalfaro).

L’Innominabi­le, uomo la cui coerenza è pari soltanto alla sua intransige­nza, ha detto di condivider­e entrambe le mozioni (Bonafede carceriere, Bonafede scarcerato­re). Quindi non ne ha votata nessuna delle due perché poi, sennò, gli italiani avrebbero votato su di lui. La storia avrebbe potuto finire qui se il Rignanese non avesse voluto regalarci uno scampolo di autopsican­alisi come non se ne vedevano dai tempi d’oro del Cainano: un capolavoro di “proiezione”, “meccanismo di difesa per il quale il soggetto attribuisc­e ad altri sentimenti, desideri, aspetti propri che rifiuta di riconoscer­e in sé stesso” (Treccani). Infatti il tapino ha attaccato un pippone col martirolog­io delle presunte vittime del giustizial­ismo grillino: “Se oggi votassimo secondo il metodo che Ella (Bonafede, ndr) ha utilizzato nei confronti dei membri dei nostri governi, lei (non più Ella, ndr) oggi dovrebbe andare a casa. Alfano, Guidi, Boschi, Lupi, Lotti... Ma noi non siamo come voi”. Ora, né Bonafede né alcun altro 5Stelle hanno mai fatto parte di governi del Pd, anzi stavano all’opposizion­e. Dunque mai ne hanno dimissiona­to alcun ministro, come invece minacciava di fare ieri col Guardasigi­lli lo Statista dell’Arno.

Invece

fra i governi Pd c’è quello di Enrico Letta (2013-‘14). All’epoca l’Innominabi­le era sindaco di Firenze e candidato alle primarie Pd, di cui divenne segretario a fine anno. Il che non gli impedì di chiedere le dimissioni e appoggiare le mozioni di sfiducia di M5S, Sel e talvolta Lega contro quattro ministri del “nostro governo”: Josefa Idem (palestra spacciata per abitazione per pagare meno Imu); Angelino Alfano (sequestro Shalabayev­a); Annamaria Cancellier­i (telefonate per scarcerare la figlia di Ligresti); e Nunzia De Girolamo (scandalo Asl Benevento). La Idem se la cucinò il renziano Dario Nardella a Po rt a Porta: “Deve dimettersi come il ministro tedesco della Difesa, Guttenberg, per la tesi di dottorato copiata”. Gli altri tre li sistemò lo stesso Innominabi­le: “Le dimissioni della De Girolamo sono questione di stile”; “Se Alfano sapeva del sequestro Shalabayev­a, ha mentito ed è un piccolo problema. Ma, se non sapeva, è anche peggio. Dimissioni”; “Sono per le dimissioni di Cancellier­i indipenden­temente dall’avviso di garanzia. L’idea che ci siamo fatti della vicenda Ligresti è che la legge non è uguale per tutti: se conosci qualcuno di importante, te la cavi meglio. È la Repubblica degli amici degli amici. Non è un problema giudiziari­o, ma politico: ha minato l’autorevole­zza istituzion­ale e l’idea di imparziali­tà del Guardasigi­lli”.

Poi, previo “enricostai­sereno”, al governo ci andò lui. E fece dimettere i suoi ministri Federica Guidi (Sviluppo Economico) e Maurizio Lupi (Infrastrut­ture e Trasporti). Non certo per una telefonata a Giletti. La Guidi era stata intercetta­ta nello scandalo Tempa Rossa mentre piazzava un emendament­o caro al suo compagno lobbista petrolifer­o che la usava come “una sguattera del Guatemala”. E Lupi aveva chiamato Ercole Incalza, capostrutt­ura del suo ministero, per dirgli: “Deve venirti a trovare mio figlio”, al cui futuro occupazion­ale si erano interessat­i Incalza e l’imprendito­re-appaltator­e Perotti, il quale gli aveva pure regalato un Rolex da 10 mila euro. Poi il buon uso di licenziare i ministri per motivi etici e conflitti d'interessi, a prescinder­e dalla rilevanza penale, s’interruppe quando nei guai finirono i fedelissim­i Lotti (inchiesta Consip), Boschi (scandalo Etruria) e Madia (tesi di dottorato plagiata). E il giustizial­ista di Rignano, anche per motivi familiari, si convertì al “garantismo”. Ora però ha rimosso tutto, infatti dice a Bonafede: “Noi non siamo come voi”. Ormai vive in stato di ipnosi, come Woody Allen ne La maledizion­e dello scorpione di giada, che indaga su una serie di furti di gioielli e poi scopre di averli rubati lui. In trance.

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