Mascherine, allarme rifiuti
ANCORA NON SI SA DOVE SMALTIRLE
Miliardi di mascherine, otto miliardi per la precisione: a fine anno sarà più o meno questo il totale dei dispositivi di protezione individuale per naso e bocca che avremo consumato in Italia. Comprate, utilizzate il tempo necessario e poi gettate via nell’indifferenziato urbano, perché una filiera del riciclo specifica per questi dispositivi ancora non c’è, tutt’al più si può discutere del loro smaltimento. Se n’è parlato nelle settimane scorse in Commissione ecomafie, poi in quella rifiuti con interventi di Ispra, Iss e del ministero dell’Ambiente: il timore è che alla lunga gli obblighi sul loro uso generino un aumento tale dei rifiuti da mandare in crisi il sistema e, soprattutto, che il loro smaltimento da un lato continui a far arricchire la rete del trasporto da una parte all’altra d’Italia, dall’altro incrementi la quantità di rifiuti in discarica e negli inceneritori.
L’ITALIA detiene uno dei brevetti più utilizzati al mondo per la sanificazione dei rifiuti sanitari ad altissime temperature. Alla sanificazione, l’anno scorso, sono andate circa 50mila delle 170mila tonnellate di rifiuti sanitari prodotti. Ma le iniziative recenti sono molte: dalla startup che annuncia di voler utilizzare “radiazioni” a un’azienda sarda che dice di produrre mascherine che possono essere riutilizzate fino a cento volte, sanificate con lavaggi a 60 gradi. Nelle scorse settimane, l'agenzia del farmaco americana ha dato il via libera al vapore concentrato di perossido di idrogeno (in pratica acqua ossigenata). L'impresa ha detto a Le Figarodi essere in grado di decontaminare le mascherine fino a venti volte senza ridurre le loro prestazioni.
Per le mascherine sanitarie, ovvero quelle che arrivano da ospedali e Rsa, durante le audizioni è emerso che per il momento non ci sono problemi di sovraccarico: la capacità di smaltimento di 200mila tonnellate all’anno è sufficiente a reggere la pressione della recente crisi da Covid-19 o comunque di picchi emergenziali limitati nel tempo. A oggi, il ciclo di smaltimento è questo: i dpi vengono stoccati negli ospedali, dove per giorni attendono il carico delle aziende che li prelevano (in Italia la maggiore è la EcoEridania Spa) e li portano agli inceneritori.
“In questo modo – spiega Alberto Zolezzi, medico e deputato M5S nelle commissioni Ambiente ed ecomafie – tra il momento della dismissione e quello dell’i ncenerimento passano anche dieci giorni e se si tiene conto che il tempo massimo della sopravvivenza del virus nei rifiuti è stimato in nove giorni, si spostano camion – a volte anche semivuoti – da una parte all’altra d’Italia quasi inutilmente. Quando li si incenerisce, i rifiuti sono probabilmente già decontaminati”. Il costo di questa pratica è di circa 1.700 euro a tonnellata. Un giro d’affari di almeno 200 milioni l’anno. L’alterativa sarebbe sterilizzare questi dispositivi sul posto o in strutture vicine. Il volume diminuirebbe dell’80%, il peso del 15% e si potrebbero conservare in sicurezza. Poi, farli prelevare solo quando è assicurato un carico pieno, risparmiando secondo le stime anche mille euro a tonnellata. Tanto più che la sterilizzazione è una pratica già utilizzata e permessa dalla legge. A mancare, invece, è l’autorizzazione alla chiusura del ciclo, ovvero a riutilizzare il materiale disidratato prodotto dalla sterilizzazione per altro, dagli arredi per esterni all’asfalto. Servirebbe una integrazione normativa, dopo u n’analisi mirata sulla non riattivazione del virus.
ALTRO CAPITOLOè quello delle mascherine utilizzate quotidianamente dai cittadini, in famiglia e dai lavoratori nelle fabbriche o nei centri commerciali (che ne utilizzano in grandi quantità). Secondo le stime del ministero dell’Ambiente, sono circa 8 miliardi quelle che il sistema italiano dei rifiuti dovrà smaltire ogni anno con il metodo tradizionale, ovvero ricorrendo alla discarica e all’incenerimento, senza bisogno di ulteriori inceneritori o stabilimenti, come auspicato da alcuni recentemente. Il calcolo è presto fatto: ogni mascherina pesa in media 2,5 grammi e, quando a utilizzarla è qualcuno potenzialmente non infetto, viene gettata nell’indi ffer enzi ato urbano. In Italia, l’indifferenziato di questo tipo ha 350mila tonnellate l’anno di capienza (incenerimento o discarica): il conto fatto al ministero è che, considerando peso, uso e numero delle mascherine, si vada a una capienza residuale di 200mila tonnellate annue. Ampiamente sufficiente dunque. Il passo in più potrebbe essere il prevedere un ciclo di sterilizzazione e riciclo specifici anche per questi (magari con piazzole di raccolta). E mentre aumenta anche la produzione delle mascherine riutilizzabili e lavabili, con la nascita di nuove imprese ogni giorno, mancano riferimenti normativi che ne identifichino requisiti e caratteristiche di efficacia, tanto che l’Uni, l’Ente Italiano di Normazione e il Politecnico di Torino stanno collaborando per definire una prassi di riferimento che fornirà le linee guida su requisiti, metodi di prova e valutazione di conformità. Saranno fondamentali.
Sovraccarico?
Lo smaltimento non è a rischio, la capacità è ampia. Ma bisogna pensare ad alternative
Sanificare sul posto ”Portare rifiuti sanitari agli inceneritori costa 1.700 euro a tonnellata con camion semivuoti”
“Non nascondo la mia preoccupazione su alcuni aspetti relativi alla gestione dei rifiuti – ha detto il presidente della Commissione ecomafie, Stefano Vignaroli –. Prima di tutto sull’abbandono di guanti e mascherine a terra: è fondamentale porsi il problema di come fronteggiare la dispersione nell’ambiente”.
Il ministro dell'Ambiente Sergio Costa punta a coinvolgere farmacisti e grande distribuzione per posizionare raccoglitori ad hoc e c’è già un tavolo attivo. Inoltre sono al lavoro con la Guardia costiera per sensibilizzare anche con spot e testimonial.