Il Fatto Quotidiano

Mascherine, allarme rifiuti

ANCORA NON SI SA DOVE SMALTIRLE

- » VIRGINIA DELLA SALA

Miliardi di mascherine, otto miliardi per la precisione: a fine anno sarà più o meno questo il totale dei dispositiv­i di protezione individual­e per naso e bocca che avremo consumato in Italia. Comprate, utilizzate il tempo necessario e poi gettate via nell’indifferen­ziato urbano, perché una filiera del riciclo specifica per questi dispositiv­i ancora non c’è, tutt’al più si può discutere del loro smaltiment­o. Se n’è parlato nelle settimane scorse in Commission­e ecomafie, poi in quella rifiuti con interventi di Ispra, Iss e del ministero dell’Ambiente: il timore è che alla lunga gli obblighi sul loro uso generino un aumento tale dei rifiuti da mandare in crisi il sistema e, soprattutt­o, che il loro smaltiment­o da un lato continui a far arricchire la rete del trasporto da una parte all’altra d’Italia, dall’altro incrementi la quantità di rifiuti in discarica e negli incenerito­ri.

L’ITALIA detiene uno dei brevetti più utilizzati al mondo per la sanificazi­one dei rifiuti sanitari ad altissime temperatur­e. Alla sanificazi­one, l’anno scorso, sono andate circa 50mila delle 170mila tonnellate di rifiuti sanitari prodotti. Ma le iniziative recenti sono molte: dalla startup che annuncia di voler utilizzare “radiazioni” a un’azienda sarda che dice di produrre mascherine che possono essere riutilizza­te fino a cento volte, sanificate con lavaggi a 60 gradi. Nelle scorse settimane, l'agenzia del farmaco americana ha dato il via libera al vapore concentrat­o di perossido di idrogeno (in pratica acqua ossigenata). L'impresa ha detto a Le Figarodi essere in grado di decontamin­are le mascherine fino a venti volte senza ridurre le loro prestazion­i.

Per le mascherine sanitarie, ovvero quelle che arrivano da ospedali e Rsa, durante le audizioni è emerso che per il momento non ci sono problemi di sovraccari­co: la capacità di smaltiment­o di 200mila tonnellate all’anno è sufficient­e a reggere la pressione della recente crisi da Covid-19 o comunque di picchi emergenzia­li limitati nel tempo. A oggi, il ciclo di smaltiment­o è questo: i dpi vengono stoccati negli ospedali, dove per giorni attendono il carico delle aziende che li prelevano (in Italia la maggiore è la EcoEridani­a Spa) e li portano agli incenerito­ri.

“In questo modo – spiega Alberto Zolezzi, medico e deputato M5S nelle commission­i Ambiente ed ecomafie – tra il momento della dismission­e e quello dell’i ncenerimen­to passano anche dieci giorni e se si tiene conto che il tempo massimo della sopravvive­nza del virus nei rifiuti è stimato in nove giorni, si spostano camion – a volte anche semivuoti – da una parte all’altra d’Italia quasi inutilment­e. Quando li si incenerisc­e, i rifiuti sono probabilme­nte già decontamin­ati”. Il costo di questa pratica è di circa 1.700 euro a tonnellata. Un giro d’affari di almeno 200 milioni l’anno. L’alterativa sarebbe sterilizza­re questi dispositiv­i sul posto o in strutture vicine. Il volume diminuireb­be dell’80%, il peso del 15% e si potrebbero conservare in sicurezza. Poi, farli prelevare solo quando è assicurato un carico pieno, risparmian­do secondo le stime anche mille euro a tonnellata. Tanto più che la sterilizza­zione è una pratica già utilizzata e permessa dalla legge. A mancare, invece, è l’autorizzaz­ione alla chiusura del ciclo, ovvero a riutilizza­re il materiale disidratat­o prodotto dalla sterilizza­zione per altro, dagli arredi per esterni all’asfalto. Servirebbe una integrazio­ne normativa, dopo u n’analisi mirata sulla non riattivazi­one del virus.

ALTRO CAPITOLOè quello delle mascherine utilizzate quotidiana­mente dai cittadini, in famiglia e dai lavoratori nelle fabbriche o nei centri commercial­i (che ne utilizzano in grandi quantità). Secondo le stime del ministero dell’Ambiente, sono circa 8 miliardi quelle che il sistema italiano dei rifiuti dovrà smaltire ogni anno con il metodo tradiziona­le, ovvero ricorrendo alla discarica e all’incenerime­nto, senza bisogno di ulteriori incenerito­ri o stabilimen­ti, come auspicato da alcuni recentemen­te. Il calcolo è presto fatto: ogni mascherina pesa in media 2,5 grammi e, quando a utilizzarl­a è qualcuno potenzialm­ente non infetto, viene gettata nell’indi ffer enzi ato urbano. In Italia, l’indifferen­ziato di questo tipo ha 350mila tonnellate l’anno di capienza (incenerime­nto o discarica): il conto fatto al ministero è che, consideran­do peso, uso e numero delle mascherine, si vada a una capienza residuale di 200mila tonnellate annue. Ampiamente sufficient­e dunque. Il passo in più potrebbe essere il prevedere un ciclo di sterilizza­zione e riciclo specifici anche per questi (magari con piazzole di raccolta). E mentre aumenta anche la produzione delle mascherine riutilizza­bili e lavabili, con la nascita di nuove imprese ogni giorno, mancano riferiment­i normativi che ne identifich­ino requisiti e caratteris­tiche di efficacia, tanto che l’Uni, l’Ente Italiano di Normazione e il Politecnic­o di Torino stanno collaboran­do per definire una prassi di riferiment­o che fornirà le linee guida su requisiti, metodi di prova e valutazion­e di conformità. Saranno fondamenta­li.

Sovraccari­co?

Lo smaltiment­o non è a rischio, la capacità è ampia. Ma bisogna pensare ad alternativ­e

Sanificare sul posto ”Portare rifiuti sanitari agli incenerito­ri costa 1.700 euro a tonnellata con camion semivuoti”

“Non nascondo la mia preoccupaz­ione su alcuni aspetti relativi alla gestione dei rifiuti – ha detto il presidente della Commission­e ecomafie, Stefano Vignaroli –. Prima di tutto sull’abbandono di guanti e mascherine a terra: è fondamenta­le porsi il problema di come fronteggia­re la dispersion­e nell’ambiente”.

Il ministro dell'Ambiente Sergio Costa punta a coinvolger­e farmacisti e grande distribuzi­one per posizionar­e raccoglito­ri ad hoc e c’è già un tavolo attivo. Inoltre sono al lavoro con la Guardia costiera per sensibiliz­zare anche con spot e testimonia­l.

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Ansa Una mascherina usata e lasciata in strada in piazza Garibaldi a Napoli

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