Matteo garantista scorda i “martiri del renzismo”
L’ex premier Rinfaccia al Guardasigilli “la cultura del sospetto” e rimuove tutte le sue “vittime”: Guidi, Cancellieri, Alfano e Lupi
Matteo Renzi si alza sullo scranno del Senato, la luce rossa del microfono s’accende e per un attimo l’aula ammutolisce, perché è l’intervento più importante. Sarà pure un ex potente, un senatore semplice, il comandante di un esercito in rotta, ma i suoi soldati sono ancora decisivi. Pronuncia un discorso di spessore, di standing, di grande valore morale: non parla di potere e ministri, ma di Politica e Ideali. Di Giustizia e non di giustizialismo.
IL GUARDASIGILLI è salvo, il governo è vivo, ma i Cinque Stelle non sorridano, dice Renzi. “Signor ministro, se oggi votassimo con lo stesso metodo che ha utilizzato nella sua esperienza parlamentare nei confronti dei nostri governi, lei oggi dovrebbe andare a casa”, dice a Bonafede. Poi scandisce l’elenco dei “martiri” del giustizialismo grillino: “Angelino Alfano, Federica Guidi, Maria Elena Boschi, Maurizio Lupi, Luca Lotti, Claudio De Vincenti. Ma noi non siamo come voi”. Renzi è diverso, ha una morale. Solo che è una morale doppia, a volte tripla. Come fa a non ricordare di aver scoperto il garantismo in tarda età, e in particolare quando le indagini hanno iniziato a riguardare lui e il suo giglio toscano? Possibile si sia dimenticato che all’inizio, quando aveva sedotto gli italiani, parlava come il più grillino dei grillini? E con quale faccia oggi fa l’elenco dei suoi martiri e tace di quello dei suoi martirii?
Quando c’era da picconare il governo del compagno di partito Enrico Letta, il senso di Renzi per il giustizialismo non era ancora così sofisticato. Fu lui in persona nel 2013 a guidare il battage per le dimissioni di Annamaria Cancellieri, ai tempi ministra (corsi e ricorsi) della Giustizia: “Sono per le dimissioni di Cancellieri, indipendentemente dall’avviso di garanzia o meno”, disse. “Non è un problema giudiziario ma politico”. E che dire di Alfano, che pure incredibilmente Renzi infila nell’elenco di quelli che sono finiti ingiustamente nel tritacarne? All’epoca Renzi rottamava, e i suoi senatori firmavano un documento per cacciare (senza riuscirci) Angelino dal Viminale. Matteo maramaldeggiava: “Posso solo sperare che alla fine di questa vicenda ( lo scandalo Shalabayeva, ndr) non paghino solo le forze dell’ordine”. Anche perché “già qualche settimana fa Letta ha chiesto a un ministro di farsi da parte”.
ERA LA POVERA Josefa Idem, titolare dello Sport, mandata via per un modesto abuso edilizio. Cosa disse Renzi per difenderla? Nulla. Mandava avanti Dario Nardella, che chiedeva le sue dimissioni. Fischiettando lo stesso ritornello molto grillino che ai tempi a Matteo piaceva un sacco: nelle democrazie serie i ministri se ne vanno per questioni di opportunità, non c’è mica bisogno di aspettare la
Cassazione né gli avvisi di garanzia. E ancora, quando sotto indagine finì Nunzia De Girolamo– che del governo Letta era ministro dell’Agricoltura – il Rottamatore polemizzava, insinuava, di certo non professava il Vangelo garantista (“A differenza della De Girolamo, la Idem si è dimessa dimostrando uno stile profondamente diverso”).
E la cacciata di Maurizio Lupi? Renzi, diventato premier, la liquidava così: “Scelta saggia, fanno bene a tutti”. E quando uno schizzo di petrolio sporcò l’immagine di Federica Guidi, la sua ministra dello Sviluppo economico? Il Rottamatore, inflessibile: “N on puoi reggere – le disse – devi dimetterti, dobbiamo mostrare che siamo diversi dagli altri”.
Fuori classifica, un minuto di silenzio per Ignazio Marino: sindaco di Roma “licenziato” dal suo stesso partito (il Pd – indovinate – di Renzi) con le firme dal notaio. Il pretesto? Una Panda in doppia fila e un pugno di scontrini. Giustizia, mica giustizialismo.
Certe sue espressioni sul giustizialismo ci hanno fatto male Rifiutiamo la cultura del sospetto perché è l’anticamera del khomeinismo MATTEO RENZI