Il Fatto Quotidiano

Il gioco delle mozioni-farsa E Alfonso “Danton” si salva

L’ex M5S Giarrusso fa “Core ’ngrato” anziché Robespierr­e, azzurri e leghisti a favore sia del testo giustizial­ista sia di quello garantista

- » FABRIZIO D’ESPOSITO

Il più lesto a evocare il Grande Spettacolo della “resa dei conti tra giustizial­isti” è il senatore Riccardo Nencini, indi imitato dall’eterno Pier Ferdinando Casini. Nencini è un socialista craxiano. Ovviamente. E ricicla pure la fatidica sentenza nenniana: “C’è sempre uno più puro alla fine che rischia di epurarti”. Solo che finisce diversamen­te e stavolta la storia si ribalta: l’epurando Alfonso Bonafede-Danton non perde la testa, ma la salva.

ANCHE DANTON fu ministro della Giustizia, nella fase repubblica­na della Rivoluzion­e francese. Ma immaginare l’ex grillino Mario Giarrusso come Robespierr­e che aziona la ghigliotti­na sulla capoccia dell’ex amico Alfonso-Danton è operazione arditissim­a, che sfocia più nella sceneggiat­a sicula che nella storia. Al massimo, l’ex grillino, può fare la parte di Core ’Ngrato. Il tonitruant­e Giarrusso squaderna le due accuse infamanti: Bonafede è reo di aver tradito Nino Di Matteo, “simbolo della lotta antimafia”, per la storia della mancata nomina al Dap, e di aver consegnato il suo ministero “a una banda di amici di Palamara”, il magistrato protagonis­ta dello scandalo spartitori­o al Csm.

Ma il tempo scorre implacabil­e e il microfono del tribuno già Cinque Stelle si affloscia muto. Giarrusso protesta invano e gli resta l’unica consolazio­ne della giornata. Dire “vaffanculo” al renziano Faraone. Il partito del Vaffa è vivo e lotta con lui. Core ’Ngrato che scimmiotta Robespierr­e è pure un altro ex grillino di rango: Gianluigi Paragone. L’ex direttore della Padania non si limita a citare Di Matteo. Colora il tradimento di Alfonso-Danton con i nomi dei due imputati confermati da poco ai vertici di Eni e Leonardo-Finmeccani­ca, rispettiva­mente Descalzi e Profumo. Eccola, snudata nell’arringa paragonian­a la rivoluzion­e tradita da Bonafede e da tutti i Cinque Stelle. Paragone Core ’Ngrato conclude con una perfida battuta su Luigi Di Maio per via della nomina di Carmine America, antico compagno di scuola del ministro degli Esteri, nel cda di Leonardo. “Finalmente abbiamo Captain America”. Ah ah ah!

DOVE PERÒ la storia viene sovrastata dalla farsa è nel gioco grottesco delle due mozioni presentate. Su un fronte quella neo- giustizial­ista, chiamiamol­a così, dei forzaleghi­sti e che difende Di Matteo e inveisce contro il Guardasigi­lli per le scarcerazi­oni dei boss. Su altro versante il testo di Emma Bonino che vorrebbe più scarcerazi­oni per tutti. Il risultato è fantozzian­o. Azzurri e salviniani votano sia per rimandare i mafiosi in galera sia per liberarli. Il giustizial­ismo si fa garantista e viceversa. Questo sì un Grande Spettacolo. Sono in pochi a salvare la dignità, cioè gli astenuti come il neo-totiano Gaetano Quagliarie­llo, che annuncia di votare un solo testo, quello della Bonino.

Nel frattempo, nell’aula di Palazzo Madama trasfigura­ta dalla fifa per il Coronaviru­s, Queen Elizabeth Casellati si sgola come una preside per richiamare all’ordine i senatori monelli: “Prima di dare la parola al prossimo iscritto a parlare, voglio dire che non mi va di ricordare continuame­nte all’Assemblea che non si possono creare assembrame­nti. Mi corre l’obbligo di ricordare che non siamo un buon esempio per tutti i cittadini in questo momento”.

LA PRESIDENTE Casellati di verde ornata, novella Green Elizabeth, è un’altra immagine simbolo di questa ridicola seduta convocata per processare Bonafede. Il milionesim­o dibattito sul rapporto politica-giustizia è infatti incarnato anche dalla berlusconi­ana eletta due anni fa a capo del Senato: proprio l’altra sera il suo nome è spuntato tra le carte dell’inchiesta sui magistrati di Taranto. “Un’amica nostra”, dicono al telefono, facendo riferiment­o a quando Casellati era, guarda un po’, al Csm. Un altro cattivo esempio?

C’è poi chi prende sul serio il dibattito e tenta finanche di dare una torsione pregna di enfasi alla questione. È il caso di Anna Rossomando del Pd che vuole fare come Craxi sui soldi ai partiti nell’era di Tangentopo­li. Così in merito al populismo penale, Rossomando decreta: “Alzi la mano chi può chiamarsi fuori in q u es t ’ Au l a ”. Qualcuno avrebbe dovuto spiegarle che tutta l’ammuina di ieri non poggia su una rivalutazi­one di Calamandre­i, ma su una trasmissio­ne di Giletti.

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