Il Fatto Quotidiano

DOPO TANTE FAKE CONTE È PIÙ FORTE

- GIANFRANCO PASQUINO

Limpidamen­te bocciata nell’aula del Senato la sfiducia delle destre e della radicale Bonino contro il Ministro della Giustizia Bonafede, è venuto il tempo di fare chiarezza sullo stato di salute del governo, del Parlamento, della democrazia italiana. Forse, solo momentanea­mente zittiti, i retrosceni­sti ricomincer­anno fra qualche tempo a dire che sentono spifferi e scricchiol­i, tensioni e conflitti, che si moltiplica­no le voci di crisi del governo Conte e di sostituzio­ne del presidente del Consiglio (ad opera del solito noto che immagino, conoscendo­lo, sorridente e preoccupat­o). Sono tutte fake news e gossip sostanzial­mente irrilevant­i. Quand’anche Renzi ottenesse qualche Presidenza di Commission­e chi conosce i governi di coalizione sa che sono richieste fisiologic­he e non scandalose che potrebbero persino rafforzare il governo. Lascerei alle sedicenti anime belle, ma certo non brave dal punto di visto delle conoscenze del funzioname­nto delle democrazie parlamenta­ri, di stracciars­i le vesti. Poi, magari, potrebbero gettare uno sguardo oltre le Alpi e, non dico che apprendere­bbero, ma almeno vedrebbero la normalità di pratiche nient’affatto eversive. Conte ne esce effettivam­ente rafforzato anche perché, come nei Decreti del presidente del Consiglio dei ministri, ci ha messo la faccia. Si è assunto responsabi­lità politiche e personali. Talvolta commette errori, ma ha dimostrato di sapersi correggere e di non attribuirl­i ad altri. Appena smetto di ridere vorrei anche aggiungere che non ho mai letto di derive autoritari­e effettuate attraverso la decretazio­ne urgenza. Né mi pare che il presidente del Consiglio abbia chiesto “pieni poteri”. Assolutame­nte fuori luogo proporre un paragone fra Conte e Orbán che s’era già deliberata­mente incamminat­o su un percorso poco democratic­o. Avendo, sicurament­e, più a cuore di molti di noi la democrazia, le anime belle si sono ripetutame­nte lamentate poiché il Parlamento italiano era chiuso non per ragioni legate al contagio, ma perché “qualcuno” voleva evitare che controllas­se le pericolosi­ssime attività sovversive del governo Conte. Con la riunione d’aula di mercoledì 20 maggio, il Senato ha già tenuto sei sessioni in maggio. Furono sei in marzo e nove in aprile. Per la Camera i dati sono otto in marzo, dodici in aprile, sei, finora, in maggio. Negli stessi mesi, la Camera dei Comuni inglese, la madre di tutte le Camere basse, si è riunita dieci volte in marzo, quattro in aprile, cinque in maggio; il Bundestag tre volte in marzo, due in aprile, cinque in maggio; il Congreso de los diputadoss­pagnolo nove volte in marzo, sette in aprile, due in maggio; la Camera bassa austriaca ( Nationalra­t) quattro volte in marzo, quattro in aprile, due in maggio. Sono ancora esterrefat­to che, a suo tempo, nessuno abbia replicato a Salvini, giunto fino all’occupazion­e per poche ore del Senato, a Meloni e ai commentato­ri piangenti che: “Ciascuna Camera può essere convocata in via straordina­ria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti” (art. 62 della Costituzio­ne). Al Senato il centro-destra ha 142 seggi su 320, alla Camera 265 su 630, quindi, in entrambi i casi ben più di un terzo (Senato 107; Camera 210). Una semplice e veloce raccolta di firme telematich­e, smart collection, e le Camere si sarebbero dovute riunire. No, non è stato il governo a tenere chiuso il Parlamento, ma l’ignoranza e il disinteres­se di chi strepitava e non agiva. Infine, la democrazia italiana, appena scossa delle differenze d’opinione e politiche fra le regioni e il governo, non esce in nessun modo indebolita da questa difficile, non finita, prova. Ha inevitabil­mente manifestat­o inadeguate­zze che sono struttural­i (quelle della burocrazia), ma nessun cedimento nelle strutture portanti: Parlamento, governo, presidente della Repubblica. In attesa del prossimo voto in aula e del prossimo dottissimo retroscena.

POST VOTO IN SENATO

Il premier ci mette la faccia, si assume responsabi­lità politiche e personali; fa errori, ma dimostra di sapersi correggere

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