“Quando Falcone mi fece il nome: Bruno Contrada”
Il giornalista Lodato a La7 a proposito del fallito attentato al giudice nel giugno 1989
Andrea Purgatori lo definisce un “macigno” dentro questa ricostruzione, una rivelazione che apre per la prima volta uno squarcio sulle “menti raffinatissime’’ del fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura, tra Palermo e Mondello, il 21 giugno 1989. Chi erano? Il giornalista Saverio Lodato rivela indiretta ad Atlantide, su La7: “Falcone mi fece un nome, Bruno Contrada”, lo 007 del Sisde condannato per mafia con una sentenza mai revocata che un verdetto della Corte europea per i Diritti dell’uomo ha ritenuto improduttiva di effetti penali aprendo la strada a un risarcimento di quasi 700 mila euro per ingiusta detenzione.
La rivelazione arriva dopo oltre 30 anni, e Lodato, a cui il conduttore chiede perché ha aspettato tanto, risponde: “Il processo Contrada si è concluso con una condanna definitiva in Cassazione, obbiettivamente non avrei avuto granché da dire andando a raccontare un sospetto che amichevolmente Falcone mi aveva trasmesso. Ma, oggi 28 anni dopo, nel momento in cui sollecito l’apertura degli archivi di Stato italiano e statunitensi su quella strage, gli archivi del presidente Giorgio Napolitano relativi a quelle telefonate che riguardano la Trattativa Stato-mafia, mi sembra che è il minimo che possa fare per onorare la memoria di Falcone.
Non toglie e non aggiunge nulla alla colpevolezza sancita dalla Cassazione per il dottor Contrada’’.
DA L L’ADDAURA, l’ombra controversa dei “servizi” e di Contrada, più volte indagato (e archiviato) per le stragi del ’92 e finora oggetto (e non soggetto) di un depistaggio sancito da una sentenza della Cassazione, si allunga fino alle stragi: è il procuratore di Caltanissetta Tinebra ad affidargli le indagini su via D’Amelio in un modo “irrituale”, è scritto nella sentenza del Borsellino quater, “ma in realtà da qualificarsi più correttamente in lingua italiana, come illecita in quanto contraria a norme di legge”, precisa l’ordinanza del gip di Catania Stefano Montoneri che ha archiviato la querela avanzata dal procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone (e dal figlio Vittorio) nei confronti dell’avvocato Fabio Repici. Per legge i servizi, infatti, non possono svolgere funzioni di polizia giudiziaria. E il vicequestore Gioacchino Genchi in aula ha raccontato il paradosso di indagini sulle stragi condotte alla Squadra mobile controllandosi a vicenda: “Ci relegano alla Criminalpol, dove eravamo perfettamente controllati dagli amici di Contrada. Lavoravamo in due stanzette, e nelle stanze accanto avevamo piazzato le microspie che intercettavano gli uomini di Contrada”. Ed era stato il procuratore Sergio Lari, nel 2010, davanti al Copasir presieduto da Massimo D’Alema, a parlare a lungo del ruolo dei servizi nel fallito attentato dell’Addaura, individuando un filo conduttore con le stragi del 1992.
“SI PUÒ ragionevolmente concludere che la regia del depistaggio comincia ben prima che l’autobomba esploda in via D’Amelio – conclude la commissione regionale antimafia presieduta da Claudio Fava – questo induce a pensare che ‘menti raffinatissime’, volendo mutuare un ’ espressione di Giovanni Falcone, si affiancarono a Cosa Nostra sia nell’ organizzazione della strage, sia contribuendo al successivo depistaggio. È certo il ruolo che il Sisde ebbe nell’immediata manomissione del luogo dell’esplosione e nell’ altrettanto immediata incursione nelle indagini della Procura di Caltanissetta, procurando le prime note investigative che contribuiranno a orientare le ricerche della verità in una direzione sbagliata’’.
Dietro la bomba “Chiesi chi fossero le menti raffinatissime di cui parlava e lui mi parlò dell’ex 007”