Fca, marchette e liti interne Il mese pazzo dei giornaloni
Affari e politica Repubblica con Elkann e Molinari sterza a destra, su La Stampa Giannini difende l’ex Fiat e il Corriere incensa Cairo
L’idea di licenziare Carlo Verdelli da Repubblica proprio nel giorno della campagna social in sua difesa a causa delle minacce di morte ricevute era sembrata una mancanza di garbo. A ben guardare, però, serviva indirizzare il quotidiano verso una precisa linea politica in tempo per la Fase 2, cioè quella della ricostruzione. Questa almeno è la versione espressa nei giorni scorsi dal vicesegretario del Pd, Andrea Orlando: “Noi spendiamo 80 miliardi di euro per la pandemia e nelle prossime settimane vedrete gruppi editoriali e centri di potere che tenteranno di buttare giù il governo”.
ARepubblica il caso è attuale ed è l’emblema dell’eterna stortura nel rapporto tra media e politica. Verdelli è stato sostituito a fine aprile e al suo posto Exor (quindi John Elkann, quindi Fiat-Chrysler) ha chiamato Maurizio Molinari dalla Stampa. Tempo pochi giorni e la sterzata a destra del quotidiano è stata evidente, con l’editorialista Stefano Folli emblema del nuovo corso: “L’assetto su cui si regge l’avvocato del popolo non è solido”, “occorre predisporre un piano B”, “nel Pd c’è insofferenza verso Conte e il suo protagonismo”. Il tutto immerso in pagine in cui già da inizio maggio si gridava alla “Milano che riparte”, al “Piemonte che riparte”, alla “paura che si allontana”, come a dire: presto con le riaperture. Ma le grane più grosse sono arrivate col caso Fca-Intesa. Buona parte della redazione non ha gradito la cortesia con cui è stata trattata la notizia del prestito richiesto da Fca con garanzie statali per oltre 6 miliardi di euro. Alla richiesta di pubblicare un comunicato del cdr sul tema, Molinari si è però opposto, provocando altri malumori. Nel frattempo, Gad Lerner ha annunciato il suo addio al gruppo (“Non lo riconosco più”), come già aveva fatto Enrico Deaglio.
SU LA STAMPA, invece, il neo direttore Massimo Giannini ci ha dovuto mettere la faccia, difendendo gli editori e definendo le parole di Orlando “fetido venticello della calunnia sparata a caso e un tanto al chilo che finisce per avvelenare i pozzi”.
Due giorni fa però quel “fetido venticello” è tornato alla mente leggendo il Corriere della Sera, improvvisamente in soccorso della Regione Lombardia. Raccontando l’accusa del grillino Riccardo Ricciardi alla gestione di Attilio Fontana, il quotidiano ha titolato: “M5S all’attacco della Lombardia”. Ecco poi la Notadi Massimo Franco: “Un attacco scomposto che certifica un M5S diviso”; sotto, l’intervista a Giancarlo Giorgetti: “Chiedono collaborazione e provocano sui morti”; infine il corsivo di Venanzio Postiglione: “Milano e la Lombardia: i teatrini politici non aiutano a capire”. A pagina 4, poi, una insospettabile velina dell’editore Urbano Cairo in persona: “Renzi? Ha più parlamentari che voti”. Chiosa del pezzo: “AOtto e mezzoLilli Gruber ha dichiarato: ‘Con noi Cairo non ha mai interferito’”. Posizione ripresa da Beppe Severgnini, che ha pure ricordato le qualità morali del suo editore: “Cairo ha rinunciato ai dividendi perché in questo momento erano inopportuni”. Com’è umano lei.
Il tutto in un contesto editoriale in cui altri proprietari da tempo hanno palesato la propria linea o neanche hanno avuto bisogno di farlo (la famiglia Berlusconi edita Il Giornale, il deputato forzista Antonio Angelucci Libero e Il Tempo).
Il Sole 24 Ore, per esempio, è espressione di Confindustria, il cui nuovo presidente, Carlo Bonomi, da settimane spara sul governo: da un lato ipotizza “l’esplosione di una emergenza sociale a settembre od ottobre” se “non investiremo sul settore produttivo”, dall’altra lamenta i troppi “soldi a pioggia” per “reddito di emergenza, reddito di cittadinanza, cassa integrazione, Naspi”. Ovvero per chi non ha la fortuna di essere proprietario di una multinazionale.
Manovre Secondo il dem Orlando i grandi editori cercano di favorire un cambio di maggioranza